Dopo la recente fusione tra Bayer e Monsanto è in arrivo un nuovo colosso dell’agrochimica: la cinese ChemChina ha raggiunto l’accordo per l’acquisizione della svizzera Syngenta.
Dell’acquisizione di Monsanto da parte di Bayer per 66 miliardi abbiamo già scritto qui su Universofood lo scorso anno. L’accordo è già stato formalizzato, anche se non è ancora stato ufficializzato il via libero definitivo da parte dell’Unione Europea. Nel frattempo – il 5 aprile 2017 – è arrivato l’ok sia della Commissione europea sia degli Stati Uniti a un’altra maxifusione nel settore dell’agrochimica, quella tra ChemChina e Syngenta. ChemChina è una delle più grandi aziende cinesi di Stato, ha una forte penetrazione nel settore agrochimico ed è già nota agli osservatori italiani perché dal marzo del 2015 possiede il 65% della Pirelli. Syngenta è un’azienda svizzera con sede centrale a Basilea, è specializzata nella produzione di prodotti chimici per l’agricoltura, fitofarmaci e sementi, ha oltre 28.000 dipendenti e un fatturato intorno ai 15 miliardi di dollari. Con un’operazione da 43 miliardi di dollari ChemChina ha acquisito Syngenta. L’accordo è già stato raggiunto e la maxifusione dovrebbe essere definitamente implementata entro la fine dell’anno, essendo già arrivato il via libera (condizionato alla dismissione di parte del business dei pesticidi e concimi, ovvero alla cessione di alcuni marchi del settore controllati da ChemChina) delle autorità antitrust Usa e Ue.
La più importante associazione di rappresentanza per l’agricoltura italiana, la Coldiretti, in un comunicato stampa ha espresso perplessità in questi termini: “l’acquisizione di Syngenta da parte di ChemChina chiude il cerchio di una manovra che porta il 70% del mercato degli agrofarmaci e il 60% delle sementi nelle mani di sole tre multinazionali, dopo la fusioni tra Bayer e Monsanto e tra DuPont e Dow Chemical, con effetti devastanti per la concorrenza e per il potere contrattuale degli agricoltori. E la concentrazione nelle mani di pochi determina anche il pericolo di indirizzare la produzione esclusivamente verso i tipi di coltivazioni più diffuse, proprio in un momento in cui i cambiamenti climatici stanno portando alla nascita di nuove fitopatologie sulle quali occorrerebbe intervenire per tutelare adeguatamente il lavoro dei produttori che hanno puntato sulla qualità e sulla biodiversità“.
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