C’è grande allarme tra i produttori italiani e degli altri Paesi europei, che di fronte alla crescita incontenibile dell’import di riso dai Paesi asiatici chiedono una nuova politica Ue sulle importazioni.
L’Italia è il primo produttore europeo di riso, con una superficie coltivata di 237mila ettari e una filiera che complessivamente dà lavoro a oltre 10mila persone. Ma la crescita delle importazioni dai Paesi orientali sta mettendo a dura prova il comparto. Secondo i dati diffusi dalla Coldiretti le importazioni di riso in Italia nel 2016 sono cresciute complessivamente del 21%, con un +46% per l’import di riso dalla Thailandia e addirittura un +489% per l’import di riso dal Vietnam.
Il problema non riguarda solo l’Italia ma colpisce tutti i Paesi europei produttori (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria). Gli esponenti delle associazioni di categoria di tutti questi Paesi si sono incontrati a Milano al Palazzo delle Stelline lunedì 20 febbraio in una sorta di primo “Forum” europeo dei Paesi produttori di riso, e hanno chiesto congiuntamente all’Unione Europea di mettere un argine all’import selvaggio. Nel 2016 le importazioni nell’area Ue sono cresciute complessivamente del 18% (con un +21% in Italia, come si è detto), e oggi il consumo di riso in Europa è coperto per il 50% dall’import, determinando un invenduto per i produttori europei pari nel complesso a oltre il 30% della produzione.
Il problema sottolineato dai produttori è che i 2/3 del riso importato in area Ue è esente da dazi, ed è a dazi zero il riso proveniente dall’Asia, in prevalenza dalla Cambogia, e a seguire da Thailandia e Vietnam, che sono esentati dai dazi in quanto Paesi in via di sviluppo in regime EBA (“tutto tranne le armi”). Si tratta di riso della varietà Indica, che è presente anche in Europa, ma con un crollo delle 40% delle superfici coltivate negli ultimi anni. I produttori chiedono all’Unione Europea di rivedere la politica sulle importazione reintroducendo dazi e barriere giuridiche e fito-sanitarie e rimuovendo gli ostacoli che impediscono l’applicazione della clausola di salvaguardia nei confronti delle importazioni dai Paesi meno avanzati. Richieste portate avanti in Italia dalla Coldiretti, che in un recente comunicato stampa ha riassunto il problema in questi termini: “le misure Ue in favore dei Paesi in via di sviluppo penalizzano i piccoli produttori europei e non aiutano nemmeno i Paesi che vorrebbero aiutare, finendo in realtà per favorire soltanto le multinazionali del commercio, senza ricadute concrete sugli agricoltori locali, che subiscono peraltro lo sfruttamento del lavoro anche minorile e danni sulla salute e sull’ambiente provocati dall’impiego intensivo di prodotti chimici vietati in Europa”.
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