La filiera dei pomodori è una delle più rappresentative del fenomeno del falso Made in Italy. E il 2015 si è concluso con un aumento da record delle importazioni dalla Cina di concentrato di pomodoro, una materia prima che viene poi lavorata nel nostro Paese e viene rivenduta come italiana.
Il settore del pomodoro da industria dà lavoro in Italia a oltre 8.000 imprenditori agricoli che lavorano su una superficie complessiva di 72.000 ettari, e a 120 industrie di trasformazione in cui lavorano 10.000 persone, con una produzione che supera in valore 3,3 miliardi di euro (dati Coldiretti). Ma percentuali significative dei pomodori e derivati che vengono lavorati in Italia provengono in realtà dalla Cina, e il fenomeno è in continua crescita. Di che numeri stiamo parlando? Le ultime cifre diffuse dalla Coldiretti a marzo 2016 (elaborazioni Coldiretti su dati Istat gennaio-novembre 2015) sono significative: nel 2015 le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono aumentate del 680% rispetto al 2014, e hanno raggiunto i 70 milioni di chili, pari al 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente.
Il prodotto sbarca in Italia su navi che trasportano fusti da 200 chili l’uno di concentrato di pomodoro, che viene poi acquistato da aziende italiane, rilavorato e venduto come italiano. La cosa è possibile perché in Italia ad oggi c’è l’obbligo di indicare l’origine in etichetta soltanto per la passata di pomodoro, mentre per il concentrato di pomodoro e per i sughi pronti è sufficiente indicare il luogo di confezionamento, non il luogo di coltivazione della materia prima (il pomodoro). Questo significa che molti dei sughi pronti e dei concentrati di pomodoro che acquistiamo, che sono confezionati in Italia e che hanno in etichetta nome e marchio italiani, sono stati in realtà ottenuti a partire da pomodori o concentrato di pomodori di provenienza cinese.
Questo trend (a parte la non trascurabile questione Laogai e diritti umani…) è molto positivo per la Cina, che ha iniziato a coltivare il pomodoro da industria di recente (nel 1990) e oggi ha superato l’intera Unione Europea ed è la seconda area di produzione al mondo dopo gli Stati Uniti. Decisamente meno positivo è il fenomeno per gli agricoltori italiani, che si trovano a dover competere con prezzi al ribasso impossibili da “gestire“: per il 2016 si parla di una possibile riduzione del prezzo pagato agli agricoltori italiani per i pomodori fino al 10-15% e oltre. E qualche perplessità c’è anche dal punto di vista della sicurezza alimentare e della salute dei consumatori. la Cina nel 2015 ha confermato il “primato” per numero di notifiche europee relative a prodotti alimentari irregolari (per esempio perché contaminati da micotossine, o perché contenenti additivi e coloranti oltre i limiti di legge): nell’ultimo anno su un totale di 2967 allarmi europei per irregolarità, 386 (pari al 13%) hanno riguardato prodotti di origine cinese.