Quanti negozi, bar e ristoranti hanno aperto, e quanti hanno chiuso nel 2015? Secondo i dati Confesercenti il saldo tra aperture e chiusure è fortemente negativo, con 29.000 imprese in meno. E complessivamente negli ultimi cinque anni il saldo negativo è di oltre 138.000 imprese.
Stiamo uscendo dalla crisi? Lo speriamo tutti, ma guardando i dati dell’Osservatorio Confesercenti sul bilancio tra aperture e chiusure di negozi, bar e ristoranti in Italia ci rendiamo conto fino in fondo della gravità della situazione e siamo spinti per forza di cose a moderare il nostro ottimismo. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di contrazione per il commercio in sede fissa, i bar e i ristoranti, con un saldo che è leggermente meno pesante rispetto a quello del 2014, ma è peggiore rispetto al saldo 2013, e rispetto a quello del 2012 e a quello del 2011. Nel 2011 (rispetto al 2010) in Italia hanno chiuso 64.906 negozi, bar e ristoranti e ci sono state 42.087 nuove aperture, per un saldo negativo di -22.819. Nel 2012 (rispetto al 2011) ci sono state 68.685 chiusure e 41.571 nuove aperture (saldo -27.114); nel 2013 (rispetto al 2012) le chiusure sono state 70.246 e le aperture 45.047 (saldo -25.199); nel 2014 (rispetto al 2013) ci sono state 76.536 chiusure e 42.092 aperture (saldo -34.444); nel 2015 (rispetto al 2014) abbiamo avuto in Italia 65.824 chiusure e 36.757 aperture (saldo -29.067). Complessivamente tra il 2011 e il 2015 in Italia abbiamo un saldo negativo di -138.643 negozi, bar e ristoranti, con 346.197 chiusure e 207.554 aperture, e negli ultimi cinque anni – in media – l’Italia ha perso ogni giorno 76 tra negozi, bar e ristoranti.
Guardando i dati vediamo dunque che l’anno peggiore è il 2014, e che il 2015 ha un saldo comunque fortemente negativo ma leggermente “migliore”. Un “miglioramento” legato alla diminuzione delle chiusure. Il 2014 è l’anno “record” per numero di chiusure di negozi, bar e ristoranti, mentre il 2015 – se guardiamo soltanto il dato delle chiusure – è un anno che non frena certo la caduta ma la rallenta. Il 2015 è però anche l’anno peggiore per numero di aperture: negli ultimi cinque anni mai come nel 2015 hanno aperto così pochi negozi, bar e ristoranti.
Se guardiamo al saldo tra aperture e chiusure per regione scopriamo che nell’ultimo quinquennio (confronto tra il 2011 e il 2015) i dati peggiori sono quelli della Sicilia (saldo di -16.432), della Lombardia (-14.347), della Campania (-13.922), del Lazio (-13.713) e del Piemonte (-11.652). Seguono, nell’ordine: Toscana (-9.903), Emilia Romagna (-9.869), Puglia (-9.765), Veneto (-8.711), Liguria (-5.020), Sardegna (-4.227), Abruzzo (-3.977), Marche (-3.940), Calabria (-3.683), Friuli Venezia Giulia (-2.794), Umbria (-2.149), Trentino Alto Adige (-1.850), Basilicata (-1.575), Molise (-943), Valle d’Aosta (-171).
Secondo il presidente di Confesercenti Massimo Vivoli “attività commerciali e pubblici esercizi non sono ancora usciti da uno stato di difficoltà che dura ormai da cinque anni. La ripartenza dei consumi, che pure c’è stata, è ancora troppo recente e modesta per portare ad una rapida inversione di tendenza, anche se finalmente nel 2015 tornano a calare le chiusure di imprese. Preoccupa, però, la frenata di nuove aperture, bloccate dalla stretta del credito e dalla riduzione dei margini di impresa, erosi dalla crisi e da una fiscalità cresciuta quasi costantemente negli ultimi cinque anni. Per mettere il settore in condizioni di ripartire davvero bisogna ridurre il peso che grava su negozi, locali e botteghe. Ma servono anche soluzioni nuove per un contrasto mirato alla desertificazione di attività urbane: la nostra proposta è introdurre affitti a canone concordato e cedolare secca per le imprese che aprono in uno degli oltre 600mila locali ormai sfitti per ‘mancanza’ di attività in tutta Italia. Un intervento che ci aiuterebbe a difendere la vivacità dei nostri centri storici e a favorire il ripopolamento di negozi e botteghe. Pmi che vivono dell’economia dei propri territori secondo le proprie specificità, e che costituiscono un valore aggiunto per turisti e consumatori, proprio in ragione delle rispettive diversità”.
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Ritengo che se si “insegnasse” agli esercenti ad investire nella formazione i dati sarebbero drasticamente diversi. I più pensano che aprire un bar o un locale sia l’equivalente dell’alzare una serranda scoprendo, a loro spese, che la realtà è tutt’altra storia. Gli esercenti dovrebbero in primis fare e far fare ai loro dipendenti formazione professionale nel bar management e nei servizi – corsi da barman e corsi per barista – anziché improvvisarsi in un settore altamente qualificato e concorrenziale, così da rendere profittevoli le loro attività ed evitare il fallimento.
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