Si intitola “In principio era l’anguria salata” il nuovo libro di Carlo Cracco edito da Rizzoli. Non un semplice ricettario ma un “viaggio al centro del gusto” per imparare i fondamentali che ogni cuoco anche amatoriale deve avere.
Esploso a livello mediatico come giudice di Masterchef Italia, campione dell’ala pop e glamour del “gastrofighettismo” nel recente pamphlet satirico “La repubblica dei cuochi” di Guia Soncini, Carlo Cracco è però anche un cuoco di sostanza e di esperienza, con un lungo curriculum di collaborazioni da Gualtiero Marchesi a Alain Ducasse e con un ristorante due stelle Michelin a Milano che è sempre ai primi posti nelle classifiche delle guide di settore. E tanta sostanza c’è anche nel nuovo libro di Cracco, che fa capire quanta complessità ci sia dietro a un piatto ben cucinato.
Il titolo del libro – “In principio era l’anguria salata” – è ispirato a un ricordo giovanile dell’autore, che quando era ragazzino e partecipava ai campi estivi con la parrocchia era stato vittima di un classico scherzo: l’anguria servita per la merenda era stata salata. La beffa diventa lo spunto – anni dopo – per la creazione di un classico della cucina di Cracco: l’insalata di anguria, che ricrea quello strano sapore di anguria salata ma in una modalità raffinata e gastronomicamente presentabile, utilizzando la colatura di alici o la bottarga. Si vede qui la creatività dello chef, che però non può mai essere disgiunta dal rigore: la proverbiale “cattiveria” di Cracco – ben nota a chi segue Masterchef – “è più che altro una forma di disciplina, qualcosa che io uso su di me e poi applico alle persone con cui lavoro”.
Cuochi dunque non ci si improvvisa. Il cuoco non si limita a cucinare seguendo una ricetta o improvvisando, ma affronta il mondo del gusto con ampiezza e serietà, partendo dal preupposto che in cucina ad essere conivolti sono i cinque sensi a trecentosessanta gradi, e cioè non soltanto il gusto in senso stretto ma il gusto in un senso più ampio che coinvolge anche la vista, il tatto, l’olfatto e l’udito. Quello che viene chiamato – con un termine che a molti non piace – “impiattamento”, ovvero la composizione e presentazione del piatto in forme raffinate e belle da vedere, è oggi una parte irrinunciabile del bagaglio di uno chef. È fondamentale conoscere il cibo anche al tatto, cercare i colori, le forme, le consistenze e gli abbinamenti di odori migliori, sapere che in alcuni prodotti c’è un contrasto tra odore e gusto (per esempio i ricci di mare hanno odore molto salino, di scoglio e muschio marino, ma all’assaggio sono dolci), conoscere la distizione tra ingredienti primari (quelli di cui è possibile apprezzare tutte le singole sfumature fin da quando il singolo ingrediente è messo in bocca) e ingredienti secondari (quelli “che arrivano dopo un po’”, che si realizzano pienamente dopo la msticazione e la frantumazione”). E’ importante perfino imparare ad ascoltare i rumori della cottura e il rumore della masticazione dei diversi cibi, è fondamentale la masticazione lunga (di almeno trenta o quaranta secondi) per apprezzare al meglio i sapori, è decisivo imparare ad assaggiare scoprendo come distinguere le diverse sensazioni (astringenza, pungenza, sensazione pseudocalorica, effetto termico, …), e bisogna capire come lavorare al meglio sugli abbinamenti tra “i fantastici quattro”: dolce, salato, acido, amaro.
Ma c’è anche un altro aspetto fondamentale trattato nel libro, che è quello dell’ “imparare a fare la spesa”, dalla scelta del punto vendita alla capacità di seguire al meglio la stagionalità degli ingredienti (nel libro ci sono delle tabelle, sia per ortaggi e frutta sia per i pesci, che indicano in quali mesi dell’anno è meglio acquistare un prodotto). Un elemento importante è quello della capacità di allargare i propri orizzonti nella scelta dei prodotti, sia per il pesce (“siamo abituati a mangiare le stesse varietà (…) l’orata, il branzino, il salmone, e pochi altri. Ma ci sono tanti pesci nel mare che hanno qualità eccezionali, (…) ma molti non sanno nemmeno della loro esistenza”), sia per la carne (“pensiamo che i pezzi pregiati siano due o tre, (…) eppure proprio quei tagli cosiddetti meno nobili sono fantastici”).
Nel libro c’è anche molto altro, da giudizi sulle nuove tendenze come la cucina giapponese a consigli su come diventare chef di professione. Ma c’è soprattutto l’invito ad approcciare con umiltà il mondo infinitamente complesso della cucina. Con un’interessante provocazione, “la prova dei bicchieri neri”: provate a mettere in due bicchieri totalmente neri da una parte un vino bianco e dall’altra un vino rosso (oppure bendate l’ospite e mettetegli di fronte due bicchieri, uno con vino bianco e l’altro con vino rosso), e chiedete iù quale vino è il rosso e quale il bianco. Davvero siamo capaci di distinguere se il vino è rosso o bianco senza vederlo?
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