Il settore lattiero-caseario italiano si trova da tempo in una situazione drammatica. Secondo i dati diffusi dalla Coldiretti dall’inizio della Crisi (2007) ad oggi hanno chiuso nel nostro Paese il 20% delle stalle (una su cinque), con la perdita di 32.000 posti di lavoro.
Il 6 febbraio si è tenuta in tutta Italia una “Giornata nazionale della mungitura pubblica” organizzata dalla Coldiretti per sensibilizzare sui problemi del settore del latte. I dati diffusi dalla stessa Coldiretti sono inequivocabili: dall’inizio della Crisi (2007) ad oggi ha chiuso in Italia una stalla su cinque, con la perdita di 32.000 posti di lavoro, e nello stesso periodo sono aumentate del 23% le importazioni di prodotti lattiero-caseari; le circa 36.000 stalle italiane superstiti hanno prodotto nel 2014 110 milioni di quintali di latte, mentre sono stati importati 86 milioni di quintali, e per ogni milione di quintale di latte importato in più scompaiono 17.000 mucche e 1.200 occupati in agricoltura; nell’ultimo anno c’è stato un crollo del prezzo all’origine del latte – ad oggi il latte viene pagato agli allevatori in media 0,35 centesimi al litro, con un calo del 20% rispetto all’anno scorso, mentre il prezzo di vendita al pubblico è in media di 1,5 euro al litro, addirittura superiore di alcuni centesimi rispetto all’anno scorso. Una situazione insostenibile che la Coldiretti sintetizza in questi termini: “oggi un allevatore italiano deve vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar, e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette”. Cii sono poi due grandi criticità per il settore: l’ embargo russo e quindi il crollo del latte e dei formaggi sul fronte dell’export; la fine del sistema delle quote latte (fissata al 31 marzo 2015) e quindi il rischio di un ulteriore crollo dei prezzi.
È dunque a rischio un settore – quello lattiero-caseario – che rappresenta tuttora il comparto più importante dell’agroalimentare italiano, con 36.000 imprese di allevamento che producono 11 milioni di tonnellate di latte bovino e che sono alla base di una filiera che complessivamente vale 28 miliardi di euro e quasi 180.000 occupati (il 10% dell’intero agroalimentare). E l’aumento delle importazioni pone anche seri problemi di concorrenza sleale, di qualità e di sicurezza alimentare, come ha spiegato – in questi termini – la Coldiretti: “dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di latte equivalente tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate polveri di caseina per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Complessivamente in Italia sono arrivati 8,6 miliardi di chili in equivalente latte (fra latte liquido, panna, cagliate, polveri, formaggi, yogurt e altro) che vengono utilizzati in latticini e formaggi all’insaputa dei consumatori e a danno degli allevatori perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Ad essere spacciato come italiano è il latte proveniente in cisterne soprattutto da Germania, Francia, Austria, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Olanda. In particolare si assiste ad un sostanziale aumento dell’import dei Paesi dell’Est ( +18% Ungheria, + 14% Slovacchia, + 60% Polonia) e una diminuzione di quello importato dai Paesi dell’Ovest (-7% dalla Germania e -13% dalla Francia). Ci sono però anche le cagliate da impiegare nella produzione di mozzarelle che arrivano principalmente dai Paesi dell’Est per un quantitativo che ha raggiunto il milione di quintale all’anno ed è diretto per un terzo in Campania. E tra i Paesi esportatori la Lituania negli ultimi 3 anni ha triplicato le spedizioni in Italia. Un chilogrammo di cagliata usata per fare formaggio sostituisce circa dieci chili di latte e la presenza non viene indicata in etichetta perché non è ancora obbligatoria l’indicazione di origine. Oltre ad ingannare i consumatori ciò fa concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco. E sul mercato europeo e anche in Italia sono arrivati inoltre i similgrana di bassa qualità, spesso venduti con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine (prevalentemente Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia)”.
Sono queste – in sintesi – le richieste della Coldiretti per rilanciare il settore: indicare obbligatoriamente l’origine nelle etichette del latte (anche Uht), dei formaggi e di tutti gli altri prodotti a base di latte; garantire che venga chiamato “formaggio” solo ciò che deriva dal latte e non da prodotti diversi; assicurare l’effettiva applicazione della legge che vieta pratiche di commercio sleale; rendere pubblici i dati relativi alle importazioni di latte e di prodotti con derivati del latte, tracciando le sostanze utilizzate; un pronto intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro le forme di concorrenza sleale e gli abusi di posizione dominante nel mercato del latte; attuare le misure di sostegno agli allevamenti italiani previste dal Piano Nazionale di Sviluppo Rurale; realizzare un piano organico di promozione (in Italia e all’estero) del latte e delle produzioni italiane, (in Italia e all’estero) del latte e delle produzioni italiane, a partire da Expo 2015; promuovere iniziative nazionali per il consumo del latte e dei formaggi di qualità, soprattutto nelle scuole e nelle mense pubbliche; semplificare le procedure burocratiche; garantire che le risorse previste dal “Piano latte” del Mipaaf vadano agli allevatori.
(Luigi Torriani)
Pingback: Nuove norme sulle etichette di latte e formaggi. Che cosa cambia