A gennaio 2015 scatta un nuovo aumento delle accise sulla birra. Gli operatori di settore stimano che questa nuova crescita della pressione fiscale possa mettere a rischio fino a 4.000 posti di lavoro.
Abbiamo già parlato nei giorni scorsi qui su Universofood della crescita impressionante delle accise nell’ultimo anno a mezzo a proposito del comparto dei liquori e distillati (che a causa dell’aumento della tassazione nell’ultimo anno potrebbe perdere complessivamente – secondo le stime di Trade Lab – circa 6.700 posti di lavoro). Un discorso analogo vale per il settore della birra. Un settore che è soggetto (al pari di liquori e distillati) al pagamento dell’Iva con aliquota massima del 22% e in più è soggetto al pagamento delle accise (imposte indirette sulla fabbricazione e sulla vendita). Nel 2013 il governo Monti ha approvato un aumento delle accise in tre fasi: un primo scatto dal 10 ottobre 2013, un secondo dal primo gennaio 2014, un terzo dal primo gennaio 2015. È arrivato l’aumento delle accise dell’ottobre 2013 (+13,1%), poi l’aumento del primo gennaio 2014 (+1,6%), è stato congelato per le birre un ulteriore aumento che avrebbe dovuto scattare a marzo 2014 (+2,6%), e ora sta per arrivare la stangata del primo gennaio 2015 (accise a +12,6%).
L’impatto di questo aumento della pressione fiscale sul settore delle birre è stato analizzato il 29 ottobre a Roma da Assobirra, Confagricoltura, Confimprese e Fipe in una tavola rotonda dal titolo “Ridurre la pressione fiscale per continuare a creare valore e occupazione” che si è tenuta presso Palazzo San Macuto. Secondo le stime sono a rischio 4.000 posti di lavoro nel settore della birra, che tra luglio e settembre ha già avuto un calo delle vendite del 26% con la perdita di 8.000 posti di lavoro. Nel frattempo prosegue la Campagna contro l’aumento delle accise “Salva la tua birra”, con oltre 110.000 firme già raccolte.
Il presidente di Assobirra Alberto Frausin ha spiegato: “abbiamo deciso di riunire in questa sede istituzionale i principali attori di un’eccellenza italiana – la birra – che vale 3,2 miliardi di euro, occupa 136mila addetti e conta più di 200mila imprese tra produttori, fornitori di materie prime e servizi nonché aziende della distribuzione e dell’ospitalità. Con accise tre o quattro volte inferiori, come avviene in altri Paesi europei come la Germania, saremmo in grado di creare 5mila posti di lavoro. Stimiamo che un posto in questo settore ne possa generare 24,5 nell’ospitalità (bar, ristoranti, alberghi), 1 nell’agricoltura, 1,3 nella supply chain (imballaggio, logistica, marketing) e 1,2 nella distribuzione. Non c’è nessun’altro prodotto al supermercato in cui si paga una tassazione del 40-45% su un euro di valore. La birra non è un lusso: la bevono tutti, i tre quarti della popolazione. È un prodotto di largo consumo che crea imprenditorialità ma il sistema fiscale ci fa implodere. E in un momento recessivo è devastante”.
Secondo Mario Resca di Confimprese “la domanda è elastica e se aumenta il prezzo il consumo diminuisce. Un esempio è quello della benzina che per i continui rincari ha segnato un calo di vendite di oltre il 20%. Senza parlare poi del diretto collegamento tra pressione fiscale ed evasione. Aprire un’attività è una lotta all’arma bianca, con una governance che oggi è un grave stimolo alla crescita, nel quadro della grande economia mondiale. È un circolo negativo che crea frustrazione”.
Secondo il presidente di Confagricoltura Mario Guidi “la birra è un prodotto agricolo come il vino. Il problema non sono solo le ripercussioni sulla produzione industriale, sull’occupazione e sull’indotto, ma anche i riflessi sull’attività dei microbirrifici, molti dei quali rappresentano un’attività di impresa derivata e partecipata dagli stessi agricoltori. Senza considerare l’impatto negativo sul collocamento dell’orzo sia in termini di quantità che di prezzo. Sbagliato reprimere, di conseguenza, i consumi, sia dal punto di vista agricolo che dell’impresa”.
Secondo il presidente della Fipe Lino Enrico Stoppani “la birra con il caffè e il vino è una componente importante del nostro business. La pressione fiscale sui pubblici esercizi ha un effetto devastante con due conseguenze: l’aumento di prezzo e l’abbassamento della marginalità della nostra attività oltre al blocco degli investimenti che invece potrebbero avere un effetto moltiplicatore per far ripartire l’economia”.
(Luigi Torriani)