È ufficiale: il governo russo ha imposto un embargo della durata di un anno per i prodotti alimentari dei Paesi che hanno promosso o appoggiato le sanzioni contro la Russia per la questione ucraina.
L’embargo deciso da Vladimir Putin riguarda vegetali, frutta, pesce, carne e salumi, latte e formaggi importati da quei Paesi che hanno aderito alle sanzioni contro la Russia nella vicenda ucraina, quindi dai Paesi dell’Unione Europea, dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Australia e dalla Norvegia. Data di inizio dell’embargo, della durata di un un anno, è il 7 agosto 2014.
L’impatto sull’agroalimentare italiano, che negli ultimi anni ha visto una continua crescita dell’export, è quantificabile in un danno di almeno 175 milioni di euro all’anno, secondo le stime della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi all’export 2013. Si parla quindi del 25% in meno, su un totale di 706 milioni di export agroalimentare diretto verso la Russia nel 2013 (pari al 2,1% dell’intero export agroalimentare italiano), peraltro con un’ulteriore crescita dell’1% nel primo quadrimestre del 2014. Nel dettaglio: 72 milioni di euro di export di ortofrutta, 61 milioni di carni e salumi, 42 milioni di carni e formaggi esportati lo scorso anno in Russia non potranno varcare le frontiere russe per un anno a partire dall’agosto del 2014. Dovrebbero invece salvarsi la pasta (50 milioni di export) e il vino (115 milioni), non colpiti dall’embargo (tra l’altro i russi hanno già messo le mani sui vini italiani, con l’acquisto del 70% di Gancia Spumanti, nel 2011, da parte di Rustam Tariko).
Si punta ora a una soluzione diplomatica dell’embargo. Il primo ministro russo Dimitri Medvedev ha infatti dichiarato che “le restrizioni sono imposte per un anno a partire da oggi, ma se i nostri partner dimostrano un atteggiamento costruttivo sui temi della cooperazione, il governo è pronto a rivedere i termini di queste restrizioni”.
Questo il commento di Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari: “il divieto imposto dalla Russia di importare certe produzioni, di cui le nostre cooperative sono leader, rappresenta un fatto gravissimo, che crea un danno enorme al settore agroalimentare italiano. Occorre intervenire subito: l’Italia deve far valere con forza, sulla Commissione europea, tutto il proprio peso politico come presidenza di turno dell’Unione, affinché si cerchi, con il massimo impegno e in tempi brevi, una possibile soluzione. Per ogni giorno di ritardo, le nostre imprese vanno incontro ad ulteriori perdite, che non possono più sostenere. Il solo mondo cooperativo rischia infatti nel 2015 un danno diretto stimabile a circa 70 milioni di euro, a cui occorre aggiungere gli investimenti già realizzati per essere presenti sul mercato russo, che non daranno alcun ritorno se la situazione non si sbloccherà. Quanto successo ci pone purtroppo di fronte all’evidenza che ancora oggi la Russia, nonostante gli sforzi diplomatici e i numerosi negoziati degli ultimi 20 anni, sia un Paese con profili di rischio elevati, che possono comportare, come in questo caso, gravi perdite, instabilità del mercato e forte incertezza per gli operatori, con imprevedibili conseguenze anche sugli equilibri del mercato mondiale. In generale, per evitare che le nostre aziende si trovino sole ad affrontare problemi di così grande portata in Paesi con tali profili di rischio, occorre che si intraprendano politiche di tutela per le imprese esportatrici, ad esempio predisponendo un sistema di assicurazioni dei crediti efficace, a cui si deve affiancare un’adeguata rete di informazione, in grado di allertare e assistere tempestivamente, in caso di crisi, gli operatori“.
Secondo la Coldiretti “con l’embargo russo, ai danni diretti per il Made in Italy agroalimentare stimabili in centinaia di milioni di euro all’anno si sommano quelli indiretti con l’Italia che potrebbe diventare mercato di sbocco di quei prodotti comunitari ed extracomunitari ora rifiutati dalla Russia. Una anticipazione si è vista nella cosiddetta ‘guerra dei prosciutti’con la Russia che ha già chiuso le frontiere a tutto l’export europeo di maiali, carni di maiale e trasformati in violazione delle regole sugli scambi alla Wto di cui è membro dal 2012, prendendo a pretesto la scoperta a fine gennaio di casi di peste suina africana in alcuni cinghiali in Lituania e Polonia, in zone di frontiera con la Bielorussia. Un atto unilaterale che ha portato lo scorso aprile 2014 alla positiva decisione dell’Unione Europea di rivolgersi all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), dopo che le discussioni bilaterali Bruxelles-Mosca non hanno dato risultati. Per l’Italia oltre al danno diretto dovuto alle mancate esportazioni si sta verificato un danno indiretto perché i maiali tedeschi che normalmente vengono spediti in Russia ora arrivano in Italia con danni per gli allevatori ma anche per i consumatori perché carne e derivati del maiale vengono spesso spacciati come Made in Italy dato che non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Ora siamo di fronte ad una preoccupante escalation dello scontro con una guerra commerciale che conferma la strategicità del cibo soprattutto nei periodi di recessione economica. La Russia colpisce l’agroalimentare perché sa che è un elemento di crescita per l’Unione Europea in un momento di stagnazione” Lo dimostra il fatto che le esportazioni agroalimentari Made in Italy nonostante la crisi sono cresciute del 5 per cento nel 2013 raggiungendo il valore record di 34 miliardi di euro“.
(Luigi Torriani)
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