Attraverso il gruppo alimentare Deoleo la Spagna produce oltre 300 milioni di litri di olio spagnolo venduto con marchi italiani (Bertolli, Carapelli, Sasso).
C’è l’Italian Sounding (l’evocazione di italianità, sui mercati esteri, in un prodotto alimentare che non ha nulla a che vedere con l’Italia: Italian Salami e Parmesan negli Stati Uniti, Regianito in Argentina, Parmesao in Brasile, Timboonzola in Australia, ecc; qui un ampio elenco), c’è il Falso Made in Italy in Italia (prodotti alimentari confezionati nel nostro Paese ma realizzati con materie prime di importazione), e poi c’è un terzo fenomeno: il passaggio in mani straniere dei grandi marchi dell’agroalimentare italiano. Un fenomeno – quest’ultimo – di cui abbiamo parlato più volte su Universofood (qui un riassunto recente della questione) e che è iniziato negli anni ’80 (nel 1985 Invernizzi formaggi passa a Kraft, nel 1988 Buitoni pasta e Perugina dolci passano alla Nestlè), è proseguito negli anni ’90 (nel 1993 Italgel-Antica Gelateria del Corso passa a Nestlé,nel 1995 Fattorie Scaldasole passa a Heinz, nel 1998 Sanpellegrino acqua e bevande e Locatelli formaggi passano a Nestlé), e ha avuto un’escalation negli ultimi quindici anni, con numeri impressionanti dall’inizio della Crisi (2008) ad oggi: negli ultimi sei anni sono passati in mani straniere marchi storici dell’agroalimentare italiano per un fatturato di oltre 10 miliardi di euro (gli ultimi casi eclatanti, nel 2013, sono il Riso Scotti, ceduto per il 25% alla spagnola Ebro Foods, e Pernigotti cioccolato e dolci, acquistata dall’azienda turca Oksoz).
Quando parliamo di olio di oliva “italiano” non possiamo tacere il fenomeno del falso Made in Italy nella filiera dell’olio, di recente denunciato con forza dal giornalista Tom Mueller nell’ottimo libro-inchiesta “Extraverginità”, ripreso poi dal New York Times nel fumetto satirico “Extra Virgin Suicide. The adulteration of italian olive oil“. Non dimentichiamoci che l’Italia è il secondo Paese esportatore al mondo di olio ma è anche il primo Paese importatore di olive e di olio, con un import che negli ultimi vent’anni è cresciuto del 163%. Questo significa che gran parte dell’olio confezionato in Italia da aziende italiane è in realtà una miscela di oli prevalentemente di importazione, che provengono per lo più da Spagna, Grecia e Tunisia.
Proprio la Spagna è il Paese leader nella produzione di olio di oliva, con 1,5 milioni di tonnellate all’anno (l’Italia è al secondo posto, con 500.000 tonnellate; il totale di olio prodotto nel mondo nell’ultimo anno è di 3 milioni di tonnellate, dunque la Spagna produce da sola la metà dell’olio prodotto in tutto il mondo). L’olio spagnolo ha a che fare con l’Italia non solo perché molte aziende italiane con sede in Italia lo importano e lo miscelano poi con minime quantità di olio italiano vendendo infine il prodotto come “Made in Italy”, ma anche perché oggi i tre più importanti marchi italiani di olio di oliva – Bertolli, Carapelli, Sasso –sono in realtà di proprietà del gruppo alimentare spagnolo Deoleo (Carapelli e Sasso dal 2006, Bertolli dal 2008).
In questi ultimi giorni si è parlato molto di Deoleo perché alcune banche spagnole (Bankia, Bnm, CaicaBank, Kutxabank), essendo in grave crisi il sistema bancario iberico, sono state costrette a disfarsi di partecipazioni azionarie, incluse quelle in Deoleo. L’Italia, con intervento diretto del premier Renzi e tramite il Fondo Strategico Italiano (attraverso IQ Made in Italy, la joint venture con Qatar Holding), ha cercato di sondare il terreno per una possibile partecipazione italiana, ma l’operazione è fallita, ed è stata accettata l’offerta d’acquisto del fondo inglese Cvc. Deoleo diventa dunque in parte inglese (resta il 30% agli spagnoli), e l’Italia resta fuori dal gruppo che è leader nella vendita di olio di oliva attraverso l’utilizzo di tre marchi italianissimi (Bertolli, Carapelli, Sasso). Secondo i dati diffusi dalla Coldiretti parliamo di 300 milioni di litri di olio spagnolo venduto con marchi italiani.
(Luigi Torriani)
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