Al momento sono cinque i McDonald’s che sono stati fatti chiudere dal governo russo. Ufficialmente un divieto temporaneo per ragioni sanitarie, in realtà una decisione che si inserisce nel quadro della questione ucraina e della volontà di Putin di punire i Paesi che si sono opposti alla Russia.
La Crisi della Crimea del 2014, con la Russia da una parte e l’Ucraina sostenuta dalla Ue e dagli Stati Uniti dall’altra, ha posto fin da subito dei problemi gravissimi nel settore agroalimentare. Inizialmente c’è stato uno shock nei prezzi del grano (l’Ucraina è il principale mercato di approvvigionamento del grano per i Paesi europei), poi è entrata in gioco la politica economica russa contro i Paesi che hanno sostenuto l’Ucraina (i Paesi dell’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la Norvegia). Contro questi Paesi, a partire dal 7 agosto 2014, è entrato in vigore un embargo per vegetali, frutta, pesce, carne e salumi, latte e formaggi. Solo per l’agroalimentare italiano il danno dell’embargo, che dovrebbe durare un anno e quindi finire nell’agosto del 2015, è stimato in almeno 175 milioni di euro di mancate esportazioni.
Ora il caso McDonald’s. La multinazionale statunitense dei fast food, arrivata in quella che era ufficialmente ancora l’Unione Sovietica nel 1990 (qui il video dell’apertura del primo McDonald’s a Mosca, il 31 gennaio 1990) conta oggi oltre 400 punti vendita in Russia per un fatturato annuo che supera il miliardo di euro. Nell’agosto 2014 cinque McDonald’s sono stati chiusi dalle autorità russe (tre a Mosca, uno a Stavropol, uno a Lekaterinburg, nella regione degli Urali), ufficialmente in forma temporanea e per ragioni sanitarie e di sicurezza alimentare. In realtà – per quanto certamente McDonald’s non sia celebre nel mondo per la qualità dei suoi prodotti (nonostante alcuni recenti tentativi di rilanciare la propria immagine) – questa guerra degli hamburger, che potrebbe proseguire nelle prossime settimane, si inserisce evidentemente nel quadro della questione ucraina. McDonald’s infatti, oltre ad essere una multinazionale statunitense (e gli Stati Uniti sono stati e sono in prima fila nella difesa dell’Ucraina contro la Russia) è anche entrata direttamente nella vicenda perché ad aprile ha chiuso i suoi locali in Crimea, una decisione spiegata ufficialmente con generici “motivi industriali” che ha da subito mandato su tutte le furie i nazionalisti russi.
(Luigi Torriani)