Un business da almeno 14 miliardi di euro (la Cia – Confederazione Italiana Agricoltori parla addirittura di 15,5 miliardi), con una crescita record del 12% negli ultimi due anni: è questo il giro d’affari annuo delle agromafie secondo gli ultimi dati diffusi dalla Coldiretti.
Nonostante la Crisi epocale che stiamo attraversando, l’Italia resta la grande patria dell’agroalimentare: è il Paese leader per numero di prodotti certificati (Dop, Igp, Stg), ha i prodotti alimentari più imitati al mondo, ha un tessuto solidissimo di imprese agricoli sempre più giovani e sempre più creative, ha un export in continua crescita, e si sta preparando a nuove grandi opportunità come il progetto Eataly World – F.i.c.o e l’Expo 2015.
Ma l’Italia è e resta anche la grande patria delle mafie. Le truffe e le frodi nell’agroalimentare negli ultimi anni sono in continua crescita, e il fenomeno del falso Made in Italy sta assumendo delle dimensioni ormai insostenibili per la filiera, come mostrano recenti colossali operazioni di polizia come la Clear Label e come dimostrano – soprattutto – tutti i dati diffusi dalla Coldiretti in occasione delle recenti grandi mobilitazioni del Brennero e di Roma.
Le cifre diffuse dalla Coldiretti a settembre 2013 parlavano di un giro d’affari delle agromafie arrivato a 12,5 miliardi annui, una cifra che nel Rapporto Agromafie di Coldiretti – Eurispes, presentato a ottobre 2013, è salita a 14 miliardi. E gli ultimi dati della Coldiretti, a gennaio 2014, confermano i 14 miliardi come volume d’affari delle agromafie in Italia nell’anno 2013. (la Cia – Confederazione Italiana Agricoltori parla addirittura di 15,54 miliardi). A preoccupare sempre di più è, in particolare, la crescente penetrazione delle mafie nell’ambito dell’imprenditoria legale, con almeno 5.000 locali di ristorazione che sarebbero ad oggi controllati nel nostro Paese dalla criminalità organizzata.
Spiega la Coldiretti: “le mafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell’imprenditoria legale, poiché è peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell’economia invadendo i settori che si dimostrano strategici ed emergenti, come è quello agroalimentare. Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni e ai controlli, si muovono con grande facilità, e per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy”.
Secondo la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori): “la piovra della criminalità organizzata allunga sempre di più i tentacoli su tutta la filiera agroalimentare, partendo dall’accaparramento dei terreni agricoli, l’intermediazione dei prodotti, il trasporto e lo stoccaggio fino all’acquisto e all’investimento in bar, ristoranti e centri commerciali. Solo nel settore ormai le infiltrazioni delle mafie producono oltre 240 reati al giorno e, dal campo alla tavola, producono un giro d’affari stimato in 15,5 miliardi di euro. La criminalità organizzata non si limita a esercitar’ un controllo sul territorio, ma è interessata a fare nuovi guadagni, a far fruttare i patrimoni, conquistando quei comparti “anticrisi’ che si stanno dimostrando sempre più determinanti per l’economia nazionale, com’è appunto l’agroalimentare. Ma gli effetti sono devastanti perché questa presenza mafiosa ‘strozza’ il mercato, distrugge la concorrenza e instaura un ‘controllo’ basato su paura e coercizione. Le organizzazioni criminali, infatti, impongono i prezzi d’acquisto agli agricoltori, controllano la manovalanza degli immigrati con il caporalato, decidono i costi logistici e di transazione economica, utilizzano proprie ditte di trasporto, possiedono società di facchinaggio per il carico e scarico e ora arrivano anche fino alla tavola degli italiani, con l’ingresso nella Gdo e nella ristorazione.
Secondo il presidente di Fipe Lino Enrico Stoppani: “a questo occorre cambiare il sistema, potenziando i controlli e i requisiti, anche per evitare che il controllo della criminalità organizzata su una parte del comparto della ristorazione arrivi al punto da dequalificare l’intero settore, proiettando una pessima immagine su un mondo che è fatto soprattutto di persone perbene”.
(Luigi Torriani)