Prosegue – ed è destinata a proseguire anche nei prossimi giorni – la “Battaglia di Natale” della Coldiretti contro il fenomeno del falso Made in Italy nell’agroalimentare. Dopo la mobilitazione del Brennero le proteste si sono spostate a Roma, dove si sono radunati allevatori da tutta Italia portando maiali davanti al Parlamento.
Nel corso della grande mobilitazione del Brennero del 4 dicembre sono stati fermati 170 tir, camion e container, e si è scoperto che il 27% dei mezzi trasportavano prodotti alimentari stranieri (tra cui atte polacco, cosce di prosciutto tedeschi e olandesi e cagliate tedesche) destinati ad essere poi rivenduti come “Made in Italy”. Il fenomeno del falso Made in Italy in Italia sta assumendo dimensioni ormai intollerabili, ed è sintetizzabile in questi dati diffusi dalla Coldiretti: l’Italia importa il 40 % del latte che poi immette sul mercato (quasi sempre spacciando i i prodotti come “Made in Italy”), il 50% dell’olio e del grano tenero (che serve per preparare il pane), il 40% del grano duro (che serve per preparare la pasta), il 20 % del mais, il 20% dei pomodori, il 14% degli agrumi freschi e l’80% della soia; negli ultimi cinque anni, ovvero dall’inizio della Crisi ad oggi, le importazioni di prodotti alimentari sono aumentate aumentate in Italia del 22 % (in valore), con un aumento del 45% delle importazioni di cereali (che diventano poi pasta e riso “italiani”), del 26% per il latte (che diventa poi latte o formaggio “Made in Italy”), del 33% per frutta e verdura, del 59% per il pomodoro fresco; complessivamente contiene materie prime straniere il 33% circa dei prodotti agroalimentari venduti in Italia (e anche esportati all’estero!) con il marchio Made in Italy.
Particolarmente grave è la situazione della carne e dei salumi. L’Italia importa circa il 40% della carne e dei salumi che poi immette sul mercato, con un un aumento del 16% delle importazioni di carne di maiale negli ultimi cinque anni. In Italia nel 2012 sono state importate 57 milioni di cosce di maiali dall’estero destinate ad essere stagionate o cotte per essere servite come prosciutto italiano. Infatti – mentre per la carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta – per la carne di maiale non c’è alcun obbligo: la carne viene importata, viene trasformata in salume e viene rivenduta come “confezionata in Italia” senza nessuna indicazione sulla provenienza della materia prima.
Il risultato di tutto questo è che il settore dell’allevamento di maiali (e produzione e vendita di carni e salumi suini) in Italia è al collasso, e parliamo di un comparto che vale 20 miliardi e che che dà lavoro a 105.000 persone, tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione. L’importazione a prezzi stracciati di carne di maiale abbassa sempre di più i prezzi e rende sempre più insostenibili i costi per gli allevatori: per ogni 100 euro spesi dagli italiani in salumi 48 euro restano alla distribuzione commerciale, 22,5 al trasformatore industriale, 11 al macellatore e soltanto 18,5 euro all’allevatore. Ovvero: mentre in media all’allevatore di maiali vengono pagati 1,4 euro al chilo, il consumatore spende più di 23 euro al chilo per un prosciutto Dop. Non stupisce in questo contesto che nel 2013 ci siano negli allevamenti italiani 600.000 maiali in meno rispetto al 2012 (8,7 milioni contro 9,3 milioni).
Da qui parte l’estensione della protesta del Brennero con la mobilitazione degli allevatori davanti al Parlamento, dove sono stati fatti razzolare dei maiali con una simbolica “domanda di adozione” degli animali per salvare il vero prosciutto italiano, e con esposizione di bidoni di concentrato di pomodoro cinese, sacchi di polvere di latte del Nord Europa, cagliate industriali straniere per produrre mozzarella “senza latte” in Italia e cosce di maiale dalla Germania arrivate sul territorio nazionale per diventare prosciutti. Nei cartelli e sugli striscioni una serie di slogan inequivocabili: “615mila maiali in meno in Italia grazie alle importazioni gli antibiotici dalla Germania”, “1 mozzarella su 4 è senza latte”, “Il falso prosciutto italiano ha fatto perdere il 10% dei posti di lavoro”, “Basta inganni scegli l’Italia”, “Subito l’etichetta per succhi di frutta, salumi, formaggi e mozzarelle”, “Il falso Made in Italy uccide l’Italia”, “Fuori i nomi di chi fa i formaggi con caseine e cagliate”.
Spiega il nuovo presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo: ““in Italia due prosciutti su tre oggi provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta. Si tratta di un inganno per i consumatori e un danno gravissimo per gli allevatori italiani, impegnati a rispettare rigidi disciplinari di produzione per realizzare carne di altissima qualità che non ha nulla a che fare con quella importata dove per l’alimentazione dei maiali si usano spesso sottoprodotti. Sul mercato è facile acquistare prosciutti contrassegnati dal tricolore, con nomi accattivanti come prosciutto nostrano o di montagna, che in realtà non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Una situazione favorita dall’inerzia dell’Unione Europea che, nonostante gli allarmi sanitari, non intende ancora estendere con un regolamento l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della carne di maiale impiegata nei salumi, al pari di quanto è stato fatto con quella bovina dopo l’emergenza mucca pazza”.
La richiesta degli allevatori è molto semplice: estendere l’obbligo di indicare in etichetta luogo di allevamento e di macellazione della carne (ora in vigore solo per a carne bovina) anche a carne di maiale, di pecora, di capra e di pollo sia fresca, refrigerata o congelata. Un obbligo che forse in Italia entrerà in vigore a partire dalla primavera del 2015, secondo quanto riferisce la Coldiretti a seguito delle trattative con le forze politiche a margine della protesta.
(Luigi Torriani)