Per finanziare il Dl Scuola e il Dl Cultura il governo Monti ha aumentato le accise sugli alcolici. Una stangata che va a affiancarsi al recente aumento dell’Iva e che avrà un impatto devastante sui comparti della birra e dei distillati e liquori (non dei vini, che sono esenti dalle accise, tranne i vini liquorosi e aromatizzati).
È un classico per i governi italiani cercare i soldi non tagliando la spesa pubblica ma aumentando le tasse. In particolare le tasse su prodotti come i tabacchi e gli alcolici, che possono essere giustificate – a posteriori – con ragioni di tipo salutistico e morale (specie se queste tasse servono per la copertura dei finanziamenti alla Scuola e alla Cultura). Ma c’è un limite a tutto.
Per finanziare il Dl Scuola e il Dl Cultura il governo Monti ha approvato un aumento delle accise degli alcolici in tre fasi, con uno scatto del 12,5% dal 10 ottobre 2013, un secondo scatto dal primo gennaio 2014 e un terzo scatto a partire dal primo gennaio 2015. Questa progressione fiscale determinerà – a regime – un aumento complessivo delle accise sugli alcolici del 33% (negli ultimi dieci anni del 70%!). Cosa significa tutto questo per i comparti della birra e dei liquori e distillati (i vini sono esenti dalle accise)?
LA BIRRA
Assobirra ha già avviato la petizione “Salva la tua birra“, con raccolta di firme online rivolta ai 35 milioni di italiani consumatori di birra e proposta di cinque possibile alternative all’aumento delle accise sugli alcolici (un aumento che vale 170 milioni di euro e che secondo Assobirra potrebbe essere sostituito, a scelta, da un provvedimento tra questi: eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti e all’editoria politica, che vale 150 milioni; taglio del 15% del contributo dello Stato agli Enti Locali per spese di rappresentanza, per un totale di 180 milioni; taglio del 6% delle spese per il funzionamento di Presidenza del Consiglio, Camera e Senato, per un totale di162 milioni; Taglio del 7% sui trasferimenti a società di servizi pubblici, per un totale di 67 milioni; Taglio del 50% sui contributi alle scuole private, per un totale di 135 milioni).
Assobirra sintetizza sintetizza la sua posizione in questi termini: “le nostre aziende sanno che ci sono settori, come l’istruzione e la cultura, che hanno bisogno di investimenti, ma quello che chiediamo alle istituzioni e alle forze politiche è di non continuare a trovare le risorse necessarie aumentando ancora le tasse. Già oggi 1 sorso su 3 va al Fisco, in pratica su una birra da 66 cl da 1 euro ben 37 centesimi sono di tasse; e con i nuovi aumenti si arriverebbe a un sorso su due! Senza contare che questi aumenti rischiano di mettere in ginocchio un settore in cui operano oltre 500 aziende che danno lavoro direttamente a 4.700 persone (+4,4% rispetto al 2011), che arrivano a 144.000 se si considera l’indotto. Dalle nostre stime, inoltre, l’aumento dell’accisa porterà anche ad un calo ulteriore dei consumi di birra di circa il 5-6% (consumi peraltro già in diminuzione nei primi mesi del 2013). Aumentare le accise non serve. Quando aumentano le accise, sale infatti anche il prezzo della birra. Questo produce una contrazione dei consumi. Di conseguenza le entrate per le casse dello Stato non migliorano, tutt’altro. Sono settimane che continuiamo a chiedere al Governo: perché si penalizza un settore che funziona e che crea ricchezza, anziché tagliare la spesa pubblica improduttiva? La birra è una bevanda naturale (quattro semplici ingredienti: acqua, cereali, lievito e luppolo), moderatamente alcolica (4-6 gradi le birre più comuni), poco calorica (un bicchiere da 20cl di birra chiara conta 68 calorie, come il succo d’arancia), accessibile a tutti (il prezzo medio al supermercato di una bottiglia da 66cl è 1 euro). Aumentare le accise significherebbe colpire uno degli ultimi piaceri – la serata in pizzeria e l’accoppiata birra e pizza – che è rimasto a tante famiglie”.
LIQUORI E DISTILLATI
Secondo Antonio Emaldi, presidente di Assodistil, “l’aumento delle accise è un ottimo sistema per distruggere l’industria della distillazione e far scomparire grappe, amari e altri prodotti della tradizione italiana dalle nostre tavole. Abbiamo affrontato il difficile momento dell’economia con determinazione ma la sequela di aumenti fiscali ci metterà definitivamente in ginocchio. Dovremo scaricare l’aumento delle accise e dell’Iva sul consumatore ma questo significherà provocare l’ennesima contrazione delle vendite. Capiamo le esigenze di reperimento di fondi per l’istruzione. Non comprendiamo, invece, perché ciò debba avvenire provocando, letteralmente, la morte di un settore importante del made in Italy agroalimentare ad esclusivo beneficio dei prodotti di importazione, che si approprieranno delle quote di mercato perse dall’industria nazionale, a seguito delle chiusure”.
Spiega il presidente dell’Istituto Nazionale Grappa Elvio Bonollo: “la Grappa ha un consumo essenzialmente nazionale, e quindi un aumento delle accise nel nostro Paese è destinato a colpire praticamente l’intera produzione, riflettendosi in un calo immediato dei consumi, già penalizzati dalla crisi economica in corso. Peraltro è dimostrato che agli attuali livelli di accisa ogni aumento si rivela essere un clamoroso ‘flop’ da parte dello Stato, che incassa minori accise poiché i consumi, a fronte dei forti aumenti di prezzo, determinati appunto dalla maggior pressione fiscale, calano più che proporzionalmente, con l’effetto di lasciare un maggior buco nelle casse dello Stato, non coprire i fabbisogni finanziari previsti e in più rovinare l’economia delle molte aziende di piccole e medie dimensioni che costituiscono l’industria italiana delle bevande alcoliche. Tutto questo è un dramma per le aziende, già oberate da incombenze burocratiche estremamente pesanti legate alle dichiarazioni fiscali giornaliere richieste dal sistema di accise, e che si troveranno a fronteggiare cali produttivi legati ai rincari appena deliberati. Una stima prudenziale da noi effettuata prevede che verrà innescata una contrazione dei consumi di circa il 35-40% , che di fatto annullerà il previsto aumento di introiti, e costringerà le 140 distillerie italiane a ridurre significativamente il personale e gli investimenti, ed in molti casi probabilmente costringerà molte di esse a chiudere definitivamente i battenti”.
(Luigi Torriani)
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