Gli alimentari costano in Italia circa il 6% in più della media europea. Negli ultimi due mesi l’inflazione (dati Istat) si è fermata e i prezzi sono in discesa, ma i consumi non ripartono. E l’aumento dell’Iva ci porta verso un nuovo aumento dei prezzi.
Gli alti prezzi che tradizionalmente hanno gli alimentari in Italia sono ulteriormente aumentati nel 2012 (con numeri più alti rispetto al dato nazionale complessivo sull’inflazione), e il 2013 è iniziato con un’ulteriore crescita dell’inflazione. Ad agosto c’è stata l’inversione di tendenza: mentre in Italia i prezzi al consumo crescevano in media dello 0,3% su luglio e dell’1,1% su base annua, i prezzi degli alimentari segnavano un -0,1%. Ora i dati Istat relativi a settembre segnalano un -0,2% su base congiunturale nei prezzi di alimentari e bevande.
L’inflazione si ferma – come ha spiegato la Coldiretti in un comunicato stampa– perché “il carrello della spesa si svuota, con gli italiani che hanno speso 5 miliardi in meno negli acquisti alimentari nel 2013”. Una Crisi epocale che ormai sta colpendo anche la Gdo e che secondo i dati Ismea per i primi otto mesi del 2013 ha determinato un calo complessivo di quasi il 4% nella spesa alimentare degli italiani, con un -9% per l’olio di oliva extravergine, -13% per il pesce, -9% per la pasta, -8% per il latte e -3% per l’ortofrutta.
Ma alla frenata dei prezzi non corrisponde un rilancio dei consumi, e l’aumento dell’Iva scattato il primo ottobre non può che far ripartire l’inflazione determinando un’ulteriore depressione dei consumi. In un comunicato stampa la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori ha chiarito il punto in questi termini: “il rallentamento della corsa dei prezzi, a cui ha contribuito anche l’agricoltura con il forte ribasso congiunturale dei listini della frutta fresca (-4,8%), non ha modificato in nessun modo la situazione sul fronte dei consumi, tanto meno di quelli per la tavola. Nonostante il moltiplicarsi di promozioni e offerte speciali nella Gdo, con oltre un quarto dei prodotti sugli scaffali “a sconto”, il 71% delle famiglie (16 milioni) continua a tagliare sul cibo. Mentre sale spaventosamente il ricorso agli hard-discount, l’estremo avamposto del ‘low-cost’: dall’inizio della crisi, infatti, la quota di famiglie che acquista in questo tipo di esercizio commerciale è praticamente raddoppiata, superando oggi il 20%. In uno scenario del genere l’aumento dell’Iva non può che peggiorare ulteriormente la condizione delle famiglie, riportando in alto l’inflazione. L’innalzamento dell’aliquota coinvolge il 60% dei consumi, con ricadute economiche per le famiglie comprese tra i 200 e i 300 euro l’anno. Senza contare gli effetti per negozi ed esercizi professionali, con oltre 25mila piccole imprese a rischio chiusura. Per questo bisogna fare il possibile per cancellare l’aumento dell’Iva: le famiglie e le imprese hanno bisogno di un segnale di fiducia”.
(Luigi Torriani)