È in arrivo, dal primo gennaio 2014, un aumento di mille volte dei canoni demaniali marittimi per gli impianti di acquacoltura. Una stangata insostenibile contro la quale sono già iniziate le proteste.
Il comparto della pesca in Italia ha perso negli ultimi trent’anni il 35% delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro, e le vendite di pesce fresco nei primi cinque mesi del 2013 sono scese in valore del 17% (dati Coldiretti). Mentre le vendite di pesce in Italia continuano a scendere, si moltiplica la dipendenza dall’estero, il falso Made in Italy e le frodi, e si portano avanti timidi tentativi per valorizzare il pesce italiano, le attività dei pescherecci sono sempre più limitate da provvedimenti come il fermo pesca, la licenza a punti per la pesca e la nuova riforma della PCP (Politica Comune della Pesca), misure severe ma necessarie e inevitabili per ragioni ecologiche e per consentire il ripopolamento degli stock ittici dei nostri mari, che per troppo tempo sono stati sovrasfruttati.
Ad aggravare il quadro c’è il continuo aumento – non solo nel settore ittico! – delle tasse. Nel 2012 è scattata l’introduzione dell’Iva al 10% sul gasolio dei pescherecci. Ora è previsto – dal primo gennaio del 2014 – un aumento di mille volte (!) dei canoni demaniali marittimi per gli impianti di acquacoltura, che passeranno (solo per le aziende, le cooperative manterrano il canone agevolato) dai 500 euro attuali a una media di 500.000 euro.
Una stangata insostenibile che ha dato il via alle prime proteste, portate avanti da Coldiretti Impresapesca nel golfo di Alghero, in Sardegna, dove il 27 settembre i pescatori si sono incatenati alle gabbie per l’allevamento del pesce, in mare aperto. È la stessa Coldiretti Impresapesca a spiegare la gravità della situazione in questi termini: “si tratta di una norma contenuta in una vecchia finanziaria, che prevede cifre impossibili da sostenere per le imprese del settore, che saranno costrette a chiudere. Le imprese di acquacoltura lamentano il disinteresse della politica, che per salvare il comparto della nautica da diporto e gli stabilimenti balneari ha persino adottato una proroga fino al 2020 nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, che ha chiesto all’Italia di far valere quanto previsto dalla direttiva Bolkenstein, mentre ha completamente dimenticato l’acquacoltura, che non è soggetta alla stessa Direttiva Servizi, nonostante l’Ue da tempo inviti gli stati membri ad eliminare gli ostacoli allo sviluppo degli allevamenti ittici. La stangata sui canoni rappresenta una vera e propria beffa per le imprese italiane, che si ritroverebbero uniche vittime di una norma indubbiamente sbagliata. Il settore ittico soffre la concorrenza sleale del prodotto importato dall’estero e spacciato come italiano, soprattutto nella ristorazione, grazie all’assenza dell’obbligo di etichettatura dell’origine [qui un approfondimento sulla questione delle etichette alimentari per il pesce] e ad oggi l’unico strumento per invertire la crescente dipendenza italiana dall’importazione, che ha superato il 76 per cento, è rappresentato dall’acquacoltura, che invece viene penalizzata dalla mancanza di certezze e da una grave assenza di norme che ne consentano lo sviluppo. Proprio per valorizzare il pesce pescato e allevato nel nostro Paese mediante la creazione di una filiera ittica tutta italiana che tuteli la qualità e l’identità nazionale del prodotto Coldiretti Impresa Pesca ha avviato iniziative pilota per la vendita diretta del pesce presso la rete di Campagna Amica“.
(Luigi Torriani)