Il governo Letta ha bloccato l’aumento dell’1% sulle aliquote Iva del 10 e del 21%, che era previsto a partire dal primo luglio 2013. Ma dal primo gennaio 2014 ci sarà un ritocco al rialzo (dal 4 al 10%) sull’Iva degli snack, caffè e bevande fredde e calde dei distributori automatici.
Qui su Universofood ci siamo occupati più volte della questione dell’Iva nel settore alimentare. Le aliquote Iva al momento sono tre: 4%, 10%, 21%. I prodotti con l’Iva al 4% sono, nel settore alimentare, il latte fresco, i formaggi e latticini, la frutta, il frumento e l’olio d’oliva (fuori dal campo alimentare, tra gli altri, sono: la stampa quotidiana e periodica, i libri, le opere per l’abbattimento delle barriere architettoniche). I prodotti con l’Iva al 10% sono, nel settore alimentare, carni, pesci, farina, latte conservato, yogurt, tè, spezie, riso, zucchero, miele, cacao, uova (fuori dal campo alimentarie sono, tra gli altri, i servizi turistici come ristoranti, alberghi, e bar, l’energia elettrica per uso domestico, i medicinali, i servizi di telefonia, gli spettacoli teatrali, i servizi di trasporto). I prodotti con l’Iva al 21% sono, nel settore alimentare, l’acqua minerale, il vino, gli spumanti, la birra, i liquori, gli aperitivi alcolici, i tartufi, la propoli, il caffè, le bevande gassate, i succhi di frutta (fuori dal campo alimentare sono, tra gli altri, cd e dvd, televisori, macchine fotografiche, videocamere, telefoni, computer, tablet, giocattoli, articoli sportivi, piscine e palestre, articoli di cartoleria e cancelleria, automobili, moto e biciclette, tabacchi, abbigliamento e calzature, profumi e cosmetici, gioielli e orologi, servizi di parrucchiere, frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie e altri elettrodomestici, mobili, piatti, detersivi, carburanti).
Nel 2011 Tremonti introduce la super Iva al 21% (passaggio da 20% a 21%), lasciando invariate le aliquote ridotte del 4 e del 10%. Il governo Monti, a marzo 2012, stava per approvare un aumento del 2% sulle aliquote Iva del 10% e del 21%, con decorrenza a partire dal primo ottobre 2012, ma ha poi ripiegato su un aumento dell’Iva (aliquote del 10% e del 21%) dell’1% a partire dal primo luglio 2013. A giugno 2013, il governo Letta ha bloccato e rinviato ad ottobre 2013 l’aumento dell’1% sulle aliquote del 10 e del 21% previsto per il primo luglio.
Lo stesso governo Letta ha poi approvato l’aumento dell’Iva dal 4 al 21% sui prodotti alimentari (snack, caffè, bevande) dei distributori automatici a partire dal primo gennaio 2014. Secondo Confida (Associazione Italiana Distribuzione Automatica) questo rincaro determinerà un aumento medio di 5 centesimi sul caffé e le bevande calde e di 10 centesimi sulle bevande fredde e gli snack.
Va detto però che i distributori automatici godevano (e in parte continueranno a godere) di un regime di tassazione Iva privilegiato, perché il caffè, le bevande gassate e i succhi di frutta hanno normalmente (se venduti in bar, negozi di alimentari, supermercati) l’Iva al 21%, il tè e il latte conservato al 10%, e i cracker e snack al 10%, e non si capisce perché mai gli stessi prodotti, se collocati in un distributore automatico, dovrebbero essere soggetti a un’Iva più bassa (il 4%). Una situazione analoga a quella delle “opere culturali in abbinamento alle pubblicazioni librarie e periodiche”, che dal 2014 avranno l’Iva al 21 anziché al 4% com’era finora (ma in effetti era ed è assurdo che su un cd o dvd venduto in un negozio di dischi e film si pagasse l’Iva al 21%, mentre sullo stesso prodotto venduto in abbinamento a un giornale, a una rivista o a un libro l’Iva fosse solo del 4%).
C’è però il problema – non da poco – dell’adeguamento dei distributori automatici ai nuovi prezzi, come spiega il presidente di Confida Lucio Pinetti: “sorprende come lo Stato abbia voluto colpire 20 milioni di consumatori che, in particolare in questi anni di crisi, grazie al favorevole rapporto qualità-prezzo al distributore automatico, hanno finora trovato una valida soluzione di acquisto. Ma per adeguare i distributori automatici installati nei luoghi pubblici – circa un milione di ‘macchinette’ – il settore del vending (30 mila addetti e più di mille imprese) dovrà spendere tra i 30 e i 50 milioni di euro. Per sostituire i prezzi occorreranno dai 4 ai 5 mesi, difficile dunque essere pronti per il 1 gennaio”. E in caso di flessione dei consumi, conclude Pinetti, “saremmo costretti a rinunciare alla prestazione di centinaia di dipendenti”.
(Luigi Torriani)