Parte il 22 luglio per l’alto Adriatico il blocco pesca 2013. Un provvedimento che cade in una situazione difficilissima – dal punto di vista delle vendite – per il settore ittico italiano, ma che è necessario per far ripopolare i nostri mari, che da troppi anni sono sovrasfruttati e sempre più a rischio dal punto di vista ecologico.
L’idea del fermo pesca per l’Adriatico parte nel 2011 con la bozza Tremonti, che prevedeva un fermo temporaneo dell’attività di pesca a strascico e/o volante per un periodo da un minimo di 30 a un massimo di 45 giorni, “al fine di fronteggiare lo stato di eccezionale sovrasfruttamento delle risorse ittiche” (nel 2011 c’è stato un calo del 38% del pescato rispetto al 2010!). Lo scorso anno il fermo pesca 2012, partito dopo che il rapporto di Ocean 2012 segnalava una situazione di impoverimento sempre più drammatico dei nostri mari e un aumento continuo delle specie ittiche a rischio estinzione, ha vietato totalmente l’attività di pesca a partire dal 5 agosto, fino al 27 agosto per la costa da Trieste e Rimini e fino al 27 settembre tra Pesaro e Bari. Ora il fermo pesca 2013, esteso anche a parte del Tirreno: si comincia il 22 luglio per l’alto Adriatico, nel tratto da Trieste a Rimini, con il blocco per 42 giorni delle barche che hanno sistemi a traino; il 5 agosto parte il fermo per il centro e sud Adriatico, da Pesaro a Bari; il primo ottobre si fermano i pescherecci a partire da Brindisi, Ionio e Tirreno, mentre Sardegna e Sicilia decideranno ad agosto e settembre in autonomia.
Al fermo pesca vanno poi affiancate altri recenti provvedimenti a fini ecologici, in particolare la licenza a punti per la pesca (entrata in vigore dal primo gennaio 2012) e la nuova riforma della Politica Comune della Pesca (PCP), che entrerà in vigore nel 2014 e che si propone di ricostituire adeguatamente gli stock ittici dei nostri mari entro il 2020. Senza questi interventi nel giro di alcuni decenni i nostri mari rischierebbero di sterilizzarsi, essendo stati sovrasfruttati per troppi anni (e non per caso ogni anno scatta sempre più in anticipo il cosiddetto Fish Dependence Day, cioè il giorno in cui è tecnicamente esaurito il pesce di un Paese per l’anno in corso).
La situazione del settore ittico italiano è sempre più critica, oltre che per l’aumento delle tasse (in particolare l’introduzione dell’Iva al 10% sul gasolio dei pescherecci, a partire dal 2012), perché le vendite di pesce continuano a scendere (a parte l’export del tonno in scatola, che è in crescita), al punto che la Coldiretti ha scritto di recente in un comunicato stampa che “scompare nel 2013 il pesce fresco dalle tavole degli italiani”. Ma il fermo pesca resta purtroppo necessario. È chiaro tuttavia che a fronte del fermo pesca “aumenta anche il rischio di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotto straniero o congelato, se non si tratta di quello fresco Made in Italy proveniente dalle altre zone dove non è in atto il fermo pesca”, come ha scritto Coldiretti Impresapesca, in un Paese in cui sono sempre di più le frodi sul pesce e in cui mancano ancora norme adeguate a tutela del vero Made in Italy in materia di etichette alimentari (a parte alcune lodevoli iniziative, come il brand “Solo Pesce Italiano” e la nascita del consorzio Mare Nostrum Tuna).
(Luigi Torriani)