[la vicenda si conclude il primo ottobre del 2013, con l’ aumento al 22% dell’aliquota Iva del 21%]
Alla fine, in extremis, l’aumento dell’Iva previsto per il primo luglio 2013, è stato bloccato dal governo Letta (per il momento soltanto rimandato a ottobre). Una boccata d’ossigeno importante per l’economia italiana e fondamentale per il settore alimentare. Ma il problema, in Italia è sempre il solito: il mancato aumento dell’Iva non viene coperto attraverso tagli alla spesa pubblica ma attraverso l’aumento di altre tasse.
Le aliquote Iva, oggi sono tre: 4%, 10%, 21%. I prodotti con l’Iva al 4% sono, nel settore alimentare, il latte fresco, i formaggi e latticini, la frutta, il frumento e l’olio d’oliva (fuori dal campo alimentare, tra gli altri, sono: la stampa quotidiana e periodica, i libri, le opere per l’abbattimento delle barriere architettoniche). I prodotti con l’Iva al 10% sono, nel settore alimentare, carni, pesci, farina, latte conservato, yogurt, tè, spezie, riso, zucchero, miele, cacao, uova (fuori dal campo alimentarie sono, tra gli altri, i servizi turistici come ristoranti, alberghi, e bar, l’energia elettrica per uso domestico, i medicinali, i servizi di telefonia, gli spettacoli teatrali, i servizi di trasporto). I prodotti con l’Iva al 21% sono, nel settore alimentare, l’acqua minerale, il vino, gli spumanti, la birra, i liquori, gli aperitivi alcolici, i tartufi, la propoli, il caffè, le bevande gassate, i succhi di frutta (fuori dal campo alimentare sono, tra gli altri, cd e dvd, televisori, macchine fotografiche, videocamere, telefoni, computer, tablet, giocattoli, articoli sportivi, piscine e palestre, articoli di cartoleria e cancelleria, automobili, moto e biciclette, tabacchi, abbigliamento e calzature, profumi e cosmetici, gioielli e orologi, servizi di parrucchiere, frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie e altri elettrodomestici, mobili, piatti, detersivi, carburanti).
In principio fu Tremonti, che nel 2011 introdusse la super Iva al 21% (passaggio da 20% a 21%), lasciando però invariate le aliquote ridotte del 4 e del 10%. Fu una stangata soprattutto per il settore vinicolo, che subì un impatto da oltre 33 milioni di euro (dati Coldiretti). Poi la Crisi è peggiorata e il governo Monti, a marzo 2012, stava per decidersi per un aumento del 2% sulle aliquote Iva del 10% e del 21%, con decorrenza a partire dal primo ottobre 2012. L’impatto sulla sola spesa alimentare degli italiani sarebbe stato di oltre un miliardo di euro (dati Coldiretti), ma poi il governo ha ripiegato su un aumento dell’Iva (aliquote del 10% e del 21%) dell’1% anziché del 2%, aumento che avrebbe dovuto scattare a partire dal primo luglio 2013 e che avrebbe comportato (dati Coldiretti) un rincaro di circa 500 milioni all’anno nella spesa alimentare delle famiglie italiane. Infine, a giugno 2013, il governo Letta ha bloccato e rinviato ad ottobre 2013 l’aumento dell’1% sulle aliquote del 10 e del 21% previsto per il primo luglio.
Secondo la Coldiretti si tratta di una decisione “positiva e attesa per evitare ulteriori effetti depressivi sulle vendite, che al dettaglio sono già crollate del 3,5 per cento nel primo quadrimestre dell’anno, con un calo del 2,1 per cento per gli alimentari e del 4,2 per cento per i non alimentari. Una necessità di fronte al crollo del potere di acquisto delle famiglie italiane, che hanno svuotato il carrello dei prodotti base per l’alimentazione, dalla frutta (-4 per cento) al pesce (-5 per cento), dalla carne bovina (-6 per cento) al vino (-7 per cento) fino all’olio di oliva (-8 per cento)”. Il problema è che il mancato aumento dell’Iva sarà compensato “all’italiana”, cioè non tagliando sulla spesa pubblica (abolizione delle province, dimezzamento del numero dei parlamentari, definizione dei prezzi standard dei beni acquisiti dalle pubbliche amministrazioni, drastico snellimento della macchina burocratica, privatizzazioni e vendita dei beni di proprietà dello Stato, tra cui i terreni agricoli), ma aumentando altre tasse. La spesa pubblica è arrivata nel 2013, in Italia, a 810 miliardi, eppure il non aumento dell’Iva (anzi, per il momento, il semplice rinvio ad ottobre dell’aumento dell’Iva) viene compensato con incrementi dal 99 al 100% dell’acconto Irpef, dal 100 al 101% dell’acconto Ires, e dal 100 al 110% dell’acconto Irap (oltre che dall’aumento di altre tasse, come quelle sulle sigarette elettroniche). Questi incrementi portano a entrate per 2,6 miliardi di euro, mentre il non aumento dell’Iva fa perdere allo Stato 2 miliardi. Quindi il governo Letta, senza tagliare la spesa pubblica, può “vantarsi” di non aver aumentato l’Iva e dal complesso di questa manovra ricava 600 milioni di euro, tolti agli italiani attraverso le tasse.
(Luigi Torriani)