Il 30 maggio 2013 a Bruxelles, in occasione del Forum Internazionale “Più Europa, più politica agricola”, la Coldiretti ha presentato il primo dossier sui “Rischi dei cibi low cost”. Un’indagine che segnala due aspetti, tra loro legati: l’aumento delle vendite dei cibi low cost, spesso di provenienza extracomunitaria; l’aumento dei rischi per la salute e degli allarmi per le contraffazioni alimentari.
La settimana scorsa, qui su Universofood, abbiamo parlato dell’ottimo libro “Le bugie nel carrello” di Dario Bressanini. In un altro libro di Bressanini – “Pane e bugie” (editore Chiarelettere, anno 2010) – c’è un capitolo (pagg. 171-186) in cui l’autore critica il mito della spesa a km zero, essenzialmente per tre motivi: i food miles (i kilometri percorsi dal cibo) non sono l’unico criterio per calcolare l’impatto ambientale totale (in alcuni casi è ambientalmente più sostenibile avere una filiera lunga, per esempio per un tedesco è più ecologico consumare carne di agnello prodotta in una grande fattoria della Nuova Zelanda piuttosto che carne di agnello prodotta da una picola fattoria tedesca locale, perché il costo ecologico del trasporto è inferiore alla differenza – legata al diverso clima e territorio – tra i costi energetici per allevare agnelli in Germania e gli stessi costi per allevare agnelli in Nuova Zelanda, e perché le piccole aziende sono meno efficienti dal punto di vista energetico rispetto alle grandi); è sbagliato considerare solo la questione dell’impatto ambientale (ci sono anche altri aspetti, per esempio la crescita dei Paesi del Terzo Mondo e dei Paesi emergenti legata all’export agroalimentare in Europa e Usa, o il fatto che dal punto di vista della salute gli europei – tranne italiani e greci – dovrebbero mangiare più frutta e verdura, ma per raggiungere gli standard consigliati nel consumo di frutta e verdura è inevitabile l’import da Paesi extracomunitari); è contraddittorio esaltare la spesa a km zero (cosa che tra l’altro si tende a fare per il cibo, ma molto meno per altri prodotti, per esempio le automobili o i telefonini) e poi esultare, come fanno abitualmente la Coldiretti e Slow Food, per la crescita dell’export agroalimentare italiano in Asia e America.
C’è però anche un altro aspetto che Dario Bressanini non considera e che in Italia depone a favore della spesa a km zero, o quantomeno contro le filiere lunghissime e l’import di prodotti agroalimentari di provenienza extraeuropea. È la questione della qualità dei prodotti e della sicurezza alimentare. Un aspetto che emerge in maniera chiarissima dal report della Coldiretti sui “Rischi dei cibi low cost”, un report che in sostanza mostra questo: consumiamo sempre più prodotti alimentari low cost e di provenienza extraeuropea, e questi prodotti stanno ponendo seri problemi per la salute dei consumatori.
Questi, in sintesi, i risultati dell’indagine della Coldiretti:
– Mentre in settori come abbigliamento e automobili molti italiani hanno rinunciato agli acquisti sfruttando quanto già avevano, nel settore alimentare (bisogna comunque mangiare…) sempre più italiani si stanno spostando sui prodotti a basso prezzo, con una spesa alimentare che nel 2012 è scesa a 117 miliardi (-6,3% dal 2008) e un incremento continuo delle vendite low cost nei discount (+2% nel primo trimestre 2013).
– A questa tendenza low cost corrispondono una drastica perdita in termini di qualità degli alimenti e un aumento degli allarmi alimentari (+26% nei primi mesi del 2013) e dei rischi per la salute dei consumatori. E i rischi per la salute alimentare sono tanto più alti quanto i prodotti a basso prezzo provengono da Paesi extraeuropei. Nel 2012 l’80% degli allarmi alimentari nell’Unione Europea ha riguardato prodotti extraeuropei, e nel sistema di allerta comunitario per la prevenzione dei rischi alimentari i primi tre Paesi nella classifica del rischio alimentare sono la Cina, l’India e la Turchia. Secondo l’ultimo Rapporto annuale sui residui dei pesticidi negli alimenti elaborato dall’ Efsa (l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare) nei prodotti alimentari provenienti da Paesi extracomunitari sono stati individuati residui chimici sopra il limite nel 7,9% dei campioni, una percentuale di oltre cinque volte superiore a quella dei prodotti dell’Unione Europea, dove gli alimenti irregolari sono l’1,5%, e 26 volte superiore a quella dei prodotti italiani, che sono risultati contaminati oltre i limiti di legge soltanto nello 0,3% dei casi.
Qui una tabella (fonte Coldiretti) con le principali “Trappole del cibo low cost” (per ulteriori approfondimenti consigliamo in particolare gli articoli di Universofood “Filiera alimentare e diritti umani: il cibo dai Laogai cinesi alle nostre tavole” // “Vini in polvere. Gli wine kit venduti anche su Amazon” // “Falsi formaggi grana. Continua lo scandalo” // “”:
Mozzarella |
Una mozzarella su quattro non è realizzata con il latte ma partendo da cagliate straniere spesso provenienti dall’Est europeo |
Limoni |
Proviene dall’Argentina quasi la metà dell’import sul quale sono stati riscontrati problemi di trattamenti chimici |
Similgrana |
Raddoppiate le importazioni in Italia di imitazioni del Parmigiano reggiano e il Grana Padano Dop che non rispettano pero’ i rigidi disciplinari |
Wine kit |
Promettono prestigiosi vini italiani ottenuti da polveri miracolose. 140.000 confezioni vengono addirittura realizzate in una fabbrica svedese |
Pomodori |
Nel 2012 sono stati importati in Italia 85 milioni di chili di pomodori “irregolari” per presenza di residui chimici, conservati in fusti che vengono rilavorati e diventano concentrato o sughi miracolosamente italiani. |
Aglio |
Nel 25% dei casi quello argentino che giunge in Italia è irregolare per la presenza di residui chimici |
Extravergine d’oliva |
In quattro bottiglie di olio extravergine su cinque in vendita in Italia è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate |
Nocciole |
Vi sono allarmi per l’importazione in Italia di nocciole e pistacchi dalla Turchia contaminati per la presenza di muffe e aflatossine |
Miele |
Nel 2012 sono aumentate del 38 per cento le importazioni di miele naturale dalla Cina. L’Ue ha lanciato un allarme sul rischio di contaminazione da organismi geneticamente modificati |
Prosciutto cotto |
Il 90% dei cosci venduti in Italia provengono da animali provenienti da Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga indicato in etichetta |
Riso |
In Italia nel 2012 sono aumentate del 12 per cento le importazioni di riso dagli Stati Uniti: rischio Ogm |
Pane |
In Italia arriva un flusso di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, surgelati, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’Est europeo |
Pasta |
Oltre la metà del grano duro utilizzato nella produzione di pasta è di importazione, con problemi di aflatossine |
Succo d’arancia |
Nel corso del 2012 sono stati importati in Italia quasi un milione di chili di succo d’arancia dal Brasile. Problemi per la presenza dell’ antiparassitario carbendazim |
Questa la conclusione della Coldiretti: “Se l’Europa vuole difendere la salute dei propri cittadini,e tutelare l’ambiente e il territorio comunitario deve investire sulla propria agricoltura. La politica agricola è l’unica politica veramente integrata dell’Unione Europea e occorre far si che con la riforma si premi chi lavora e vive di agricoltura, chi produce in modo sostenibile, chi produce cibo. Una esigenza per l’Italia, dove occorre un piano strategico nazionale per aumentare del 10%, entro 5 anni, la copertura del fabbisogno alimentare nazionale, anche con politiche di salvaguardia del suolo agricolo e delle risorse naturali. Ricordiamo peraltro che secondo i nostri sondaggi più di nove italiani su dieci, precisamente il 91%, si dicono favorevoli all’introduzione dei dazi alle importazioni per difendere le produzioni italiane e salvare i posti di lavoro. Oltre un terzo degli italiani (34 per cento) è favorevole ai dazi per tutti i prodotti provenienti da fuori dell’Italia, mentre il 29 per cento solo per le merci che provengono da Paesi che non rispettano norme sul lavoro, sull’ambiente e sulla salute simili a quelle nazionali. Inoltre il 15 per cento li chiede solo sui prodotti ‘spacciati’ per Made in Italy, ma fatti all’estero e il 13 per cento per tutti i prodotti provenienti da Paesi extracomunitari. Se quella dei dazi è una proposta provocatoria, è anche vero che esprime un sentimento diffuso nei confronti della difesa dell’identità territoriale delle produzioni e della necessità di investire sui valori distintivi del territorio“.
(Luigi Torriani)