Uno dei casi più emblematici e particolarmente gravi di falso Made in Italy in Italia riguarda la filiera del pomodoro. Di fatto i pomodori e le passate di pomodoro vendute in Italia ed etichettate come italiane sono in buona parte realizzate con materie prime di importazione, con l’import dalla Cina che è cresciuto a dismisura negli ultimi anni. Ma forse qualcosa sta lentamente incominciando a cambiare…
Qui su Universofood abbiamo già scritto ampiamente sul problema del falso Made in Italy in Italia, che non è il classico Italian Sounding (aziende estere vendono su mercati esteri prodotti che richiamano nel nome e nel logo un’italianità del prodotto ma non sono italiani), ma è un altro fenomeno: la vendita, da parte di aziende italiane, di prodotti etichettati come Made in Italy ma realizzati con materie prime importate. In questo articolo sui falsi formaggi grana c’è un riassunto di tutte le precedenti “puntate”, dal caso dei prosciutti a quello delle castagne, dei tartufi, del formaggio, dell’olio, del falso biologico italiano, fino a casi più specifici come quello dei “Biscotti Milano” e del Pecorino rumeno finanziato con soldi pubblici italiani (oltre a recenti creazioni tecnologiche, come il sensore Lapka che scova il falso biologico e la macchina che individua l’origine dei pomodori). Un fatto è certo: negli ultimi anni le importazioni di alcuni prodotti in Italia sono cresciute a dismisura, mentre i prodotti in questione nei negozi e supermercati continuano ad essere venduti con marchio italiano da aziende italiane.
Sono emblematici i casi dell’olio di oliva, con le importazioni triplicate negli ultimi vent’anni, e il caso dei pomodori, con gli arrivi dalla Cina quadruplicati tra il 2000 e il 2010. In pratica molte aziende italiane importato olive o direttamente olio di bassa qualità (prevalentemente da Spagna, Grecia e Tunisia), concludono il processo di lavorazione in Italia con minime percentuali di olio italiano e poi vendono il prodotto con marchio italiano (e con la dicitura obbligatoria, ma seminascosta, in etichetta, “miscela di oli comunitari” o di “oli comunitari e extracomunitari”); oppure importano pomodori, concludono la lavorazione in Italia (pastorizzando e aggiungendo acqua e sale) e vendono il prodotto come se fosse italiano. Il tutto con una sola condanna penale (qui viene raccontata la vicenda), in un caso che ha avuto una grande risonanza mediatica e un grande danno d’immagine per il vero Made in Italy anche in Inghilterra.
Ma proprio nei casi dell’olio (caso su cui oltretutto attendiamo l’implementazione della Legge Mongiello salva olio Made in Italy) e del pomodoro qualcosa sta cambiando. Dei più recenti sviluppi della filiera dell’olio abbiamo già scritto qui su Universofood in un recente articolo, segnalando i dati definitivi del 2012 sull’import/export di olio di oliva, dati che per la prima volta dopo anni segnano un calo delle esportazioni e un aumento dell importazioni di olio nel nostro Paese. È così anche per i pomodori (dati Istat, elaborazioni Coldiretti): nel 2012 la produzione di pomodori da industria è scesa del 13% a livello mondiale e del 10% in Italia; le importazioni di semilavorati e concentrati di pomodoro dalla Cina in Italia nel 2012 si sono quasi dimezzate rispetto al 2011 (-46%; dai 115.022.975 kg del 2010 ai 133.831.063 kg del 2011 ai 72.080.037 kg del 2012), e sono state compensate solo in parte da un aumento dell’import dagli Stati Uniti (+20,7% nel 2012 sul 2011, dai 31.474.679 kg del 2010 ai 42.404.801 kg del 2011 ai 51.223.670 kg del 2012) e dalla Spagna (+43% nel 2012 sul 2011, dai 21.058.262 kg del 2010 ai 25.896.880 kg del 2011 ai 37.152.467 kg del 2012); complessivamente l’import di derivati del pomodoro in Italia è passato dai 178.994.018 kg del 2010 ai 213.767.179 del 2011 ai 167.110.029 kg del 2012.
E quando si parla di import dalla Cina – è bene ricordarlo – non si pone soltanto un problema di competitività e di tutela del Made in Italy, ma ci sono anche problemi – enormi – in termini di diritti umani e di assenza di reciprocità di regole e controlli (oltre a casi specifici, come quello del dumping sui mandarini cinesi). Quando c’è stato il recente accordo tra Unione Europea e Cina sul reciproco riconoscimento dei prodotti tipici le associazioni di categoria europee – al di là dell’ovvia difesa di interessi di parte – hanno sollevato un problema reale: i prodotti cinesi tutelati in Europa come Dop e Igp di fatto fruiscono dello stesso marchio di qualità degli omolghi europei ma devono sottostare agli standard qualitativi e ai controlli cinesi, non a quelli – decisamente più stringenti – europei). Inoltre – e ne abbiamo già scritto qui – una parte dei prodotti alimentari alimentari che importiamo dalla Cina sono realizzati non solo in assenza dei nostri diritti sindacali e di tutela dei lavoratori, ma addirittura negli oltre 1400 Laogai, i campi di concentramento istituiti da Mao Tse-tung nel 1950 e tuttora funzionanti, dove dissidenti politici e detenuti per reati minori vengono “rieducati attraverso il lavoro” (lavoro forzato fino a 18 ore al giorno, in condizioni igieniche e di denutrizione estreme, e con impiego della tortura).
(Luigi Torriani)
Come ho letto giustamente in quest’articolo, gli standard qualitativi cinesi sono ben al di sotto di quelli italiani rispetto ai pomodori e al cibo in genere. Qui vengono fuori la competenza e la responsabilità delle aziende italiane esportatrici di passata di pomodoro e di pomodori pelati. Mi dispiace quando viceversa si punta il dito sulla qualità italiana senza rendersi conto che è una delle poche cose certe che ci rimane.
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