Non esiste solo l’Italian Sounding sui mercati esteri, esiste anche un mercato – in continua crescita – del falso agroalimentare Made in Italy venduto direttamente sugli scaffali di negozi e supermercati italiani. È emblematico il caso dei formaggi simil-grana, le cui importazioni in Italia sono aumentate dell’88% negli ultimi dieci anni: sono spesso le imprese italiane ad essere il primo nemico del vero Made in Italy.
Il problema del falso Made in Italy o Italian Sounding sui mercati internazionali (Parma Salami, Romano Cheese, Parmesano, Regianito, Palenta, Camboozola, ecc.: qui un ampio elenco) secondo i dati della Coldiretti ha ormai superato i 60 miliardi di fatturato e costa al nostro Paese circa 300.000 posti di lavoro. Ma c’è anche un altro fronte del falso Made in Italy, ed è quello che si svolge sotto i nostri occhi direttamente sul mercato interno italiano: aziende italiane vendono in Italia come italiani dei prodotti importati o realizzati con materie prime di importazione. Ma mentre nel primo caso – l’Italian Sounding sui mercati internazionali – la battaglia è ardua e complessa, contro il falso Made in Italy che invade i negozi e i supermercati italiani basterebbero regole e controlli nazionali più severi. Eppure il fenomeno prosegue ed è in continua crescita.
Qui su Universofood abbiamo già parlato più volte del falso Made in Italy in Italia, analizzando i casi dei “Biscotti Milano” (prodotti negli Stati Uniti, venduti negli autogrill italiani con nome italiano), del prosciutto (almeno tre prosciutti su quattro venduti in Italia non sono italiani), delle castagne (importazioni triplicate negli ultimi tre anni), dei tartufi (importazioni raddoppiate in pochi mesi), dei pomodori (importazioni dalla Cina quadruplicate negli ultimi dieci anni e in continua crescita, nonostante la recente invenzione della “macchina che individua l’origine dei pomodori“), dell’olio di oliva (importazioni triplicate negli ultimi vent’anni, in attesa dell’implementazione della Legge Mongiello in difesa del vero olio Made in Italy), del falso biologico italiano (in Italia circa il 10% del “biologico” è tuttora costituito da prodotti fasulli, nonostante l’invenzione del sensore Lapka che scova il falso biologico). Un altro caso emblematico è quello dei formaggi, di cui già abbiamo parlato per il caso delle mozzarelle blu (prodotte con latte straniero spacciato per italiano) per il caso del Pecorino rumeno finanziato con soldi pubblici italiani, e per il caso del falso Pecorino romano della Lactalis.
L’export dei formaggi italiani è in continua crescita, nell’ultimo anno abbiamo avuto due nuovi riconoscimenti Dop per formaggi italiani (Lo Squacquerone e lo Strachitunt), e abbiamo un formaggio – il Grana Padano – che nonostante i danni del Terremoto emiliano resta tuttora non solo il formaggio più venduto al mondo ma più in generale il prodotto Dop più venduto al mondo. Ma proprio il Grana Padano, e proprio in Italia, deve fare i conti con la concorrenza crescente dei falsi formaggi grana importati dall’estero. Secondo un’elaborazione Coldiretti su dati Clal: le importazioni in Italia di formaggi simil-grana (formaggi duri di latte bovino non Dop, di qualità inferiore rispetto al Grana Dop italiano, con tenore in peso di materie grasse uguale od inferiore al 40%, e tenore in peso di acqua della sostanza non grassa inferiore uguale al 47%) hanno raggiunto nel 2012 i 27,3 milioni di chili, con una crescita dell’88% negli ultimi dieci anni; i consumatori scambiano certamente o quasi certamente questi formaggi con prodotti Made in Italy, perché i simil-grana (che tra l’altro hanno codice doganale 04069069, dunque quasi identico al codice doganale del Grana Padano, che è 04069061) riportano in genere in etichetta nomi e immagini che richiamano all’italianità del prodotto, e se il formaggio è anche semplicemente confezionato in Italia (dopo essere stato prodotto all’estero) appare il bollo CE con la Scritta “I” di Italia; i simil-grana arrivano in Italia soprattutto dalla Germania (8,3 milioni di chili nel 2012), dalla Repubblica Ceca (8,1 milioni di chili), e dall’Ungheria( 2,7 milioni di chili, pari al 10% delle importazioni totali).
(Luigi Torriani)