All’interno dell’Unione Europea l’Italia ha il minor numero di prodotti alimentari (verdure) con pesticidi e in generale residui chimici da fitofarmaci oltre i limiti. E le maggiori criticità riguardano tutte prodotti extraeuropei di importazione. Sono questi i due elementi di fondo che emergono dagli ultimi dati dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Relazione annuale sui pesticidi dell’Efsa, diffusa il 12 marzo 2013).
La sicurezza alimentare ha tante facce (ovviamente i problemi di sicurezza alimentare non si pongono soltanto sul piano dei residui chimici e degli eccessi di pesticidi nelle verdure, come mostrano tra l’altro il recente scandalo della carne di cavallo e il caso clamoroso dei cinghiali radioattivi della Valsesia). E L’Italia a questo proposito ha prima di tutto un problema, un problema con un giro d’affari oltre il miliardo di euro annuo, nonostante i controlli e i sequestri: la tendenza apparentemente inestirpabile a utilizzare prodotti di importazione venduti poi con marchio italiano, dai pomodori cinesi all’olio ai formaggi, i tartufi, le castagne, i prosciutti, fino agli scandali del falso biologico italiano. In questi casi il prodotto alimentare è venduto come Made in Italy ma non lo è, e ad essere alterata non è soltanto la situazione economica ma anche il dibattito sulla sicurezza alimentare dei prodotti italiani. Secondo i dati della Coldiretti “viene dall’estero ben il 40% del frumento duro utilizzato per produrre la pasta ‘italiana’, il 60% del frumento tenero per produrre il pane, il 40% della carne bovina, il 35% della carne suina da consumare fresca o da trasformare in salumi e prosciutti e il 45% del latte per prodotti lattiero caseari, e nel 2012 sono stati importati dalla Cina oltre 80 milioni di chili di pomodori conservati destinati con la rilavorazione industriale a trasformarsi magicamente in prodotti Made in Italy”.
Un problema – quello del falso Made in Italy in Italia – che si regge innanzitutto su un vuoto legislativo in materia di etichette alimentari, dato che ad oggi, come ha più volte ricordato (invano) la Coldiretti, in Italia è obbligatorio indicare l’origine in etichetta per la carne bovina ma non per quella di cavallo, agnello, coniglio o maiale fresco o trasformato in salumi, è obbligatorio per il latte fresco ma non per quello a lunga conservazione o i formaggi, per la passata di pomodoro ma non per il concentrato o i sughi pronti, per la frutta fresca ma non per quella conservata o per i succhi, né per il grano impiegato nella pasta.
Se però guardiamo ai prodotti realmente italiani e ci concentriamo sulla questione dei residui di pesticidi e fitofarmaci nelle verdure coltivate in Italia, scopriamo che i dati per le nostre coltivazioni sono confortanti. E che i maggiori residui chimici interessano prodotti extraeuropei di importazione, il che mostra l’estrema gravità anche in termini di sicurezza alimentare (oltre che di inganno al consumatore) della tendenza di cui sopra a vendere prodotti extraeuropei spacciandoli al pubblico dietro il paravento di marchi italiani, soprattutto se i prodotti sono cinesi, sia perché la Cina è “leader” per i prodotti con residui chimici oltre i limiti di legge sia per il problema dei diritti umani e della produzione di cibi da esportare nei Laogai, i campi di concentramento cinesi.
L’elaborazione Coldiretti sui dati Efsa (che sono dati – lo ricordiamo – relativi al 2010, pubblicati nel marzo 2013) segnala infatti che l’Italia è il Paese europeo con il minor numero di prodotti alimentari con residui chimici oltre il limite di legge. E che le criticità sono quasi tutte extraeuropee. Attraverso analisi su oltre 77.000 campioni su 582 diversi prodotti alimentari, l’Efsa è pervenuta a questi risultati: il 98,4% dei campioni esaminati ha residui chimici da pesticidi e fitofarmaci entro i limiti di legge, l’1,6% è oltre i limiti; la media dei prodotti europei è dell’1,5% di irregolarità (residui chimici oltre i limiti consentiti); l’Italia ha solo lo 0,3% di prodotti irregolari, un dato quindi di cinque volte inferiore rispetto alla media europea; nei prodotti extracomunitari importati in Europa le irregolarità (residui chimici oltre i limiti) salgono al 7,9%, un dato di 26 superiore a quello dei prodotti italiani; le maggiori criticità riguardano i cavoli cinesi (residui chimici oltre i limiti addirittura nell’83% dei casi), i broccoli cinesi (77% di irregolarità), i pomodori cinesi (47% di irregolarità), l’uva indiana (65% di irregolarità), il pepe indiano (42% di irregolarità), l’aglio argentino, le patate brasiliane, i piselli sloveni.
(Luigi Torriani)