Lo scandalo della carne di cavallo sta avendo conseguenze economiche devastanti. Secondo le stime della Coldiretti, dall’inizio dell’esplosione dello scandalo, dunque nell’ultimo mese, gli acquisti in Italia di ragù e piatti pronti surgelati sono scesi del 30%.
Abbiamo già raccontato nelle scorse settimane la storia e le origini dello scandalo della carne di cavallo e poi gli sviluppi dello scandalo nel contesto italiano. In estrema sintesi, la vicenda è questa: prima in Irlanda e Inghilterra, poi in quasi tutti i Paesi europei, sono state trovate tracce di carne di cavallo in molti prodotti pronti surgelati (come lasagne, spaghetti alla bolognese, tortellini, cannelloni, ravioli, ragù e hamburger, venduti come prodotti a base di carne bovina); la carne viaggiava lungo una filiera lunghissima che terminava sugli scaffali di tutte le maggiori catene di supermercati europei, e iniziava da fornitori rumeni, passando attraverso aziende francesi, un intermediario cipriota e un trader olandese; il sospetto, in alcuni casi accertato dalle autorità competenti, è che molte di queste partite di carne contenessero tracce di fenilbutazone (un potente antinfiammatorio somministrato ai cavalli sportivi e pericoloso per la salute umana), e che quindi nello scandalo non ci fosse solo un problema di false indicazioni in etichetta (carne equina spacciata per bovina) ma anche un problema di sicurezza alimentare derivante dall’utilizzo (illegale) di cavalli sportivi per la macellazione (tute le legislazioni europee distinguono tra cavalli destinati all’alimentazione umana, che non possono essere trattati con certi farmaci, e cavalli ad uso sportivo, che non possono essere macellati per uso alimentare); lo scandalo ha poi toccato anche l’Italia, con una serie di controlli e sequestri a tappeto, tra cui il temporaneo blocco delle polpette Ikea, il ritiro delle lasagne alla bolognese surgelate della ditta Primia di San Giovanni in Persiceto (Bo), il ritiro delle lasagne Findus, dei ravioli e tortellini Buitoni e del ragù Star.
I danni economici dello scandalo sono rilevanti, e sono quantificati in questi termini dalla Coldiretti: un crollo del 30% nelle ultime quattro settimane degli acquisti in Italia di piatti pronti e ragù surgelati. Un caso che ricorda altre analoghe vicende di tempi recenti, dallo psicosi da batterio killer del giugno 2011 all’influenza suina del 2009 all’aviaria del 2005. Con una differenza fondamentale: in questi tre casi (in cui potenzialmente si rischiava la vita) l’allarme era ingiustificato, nel caso dello scandalo della carne di cavallo (in cui non si rischia la vita, ma ci sono comunque pericoli per la salute) le paure degli acquirenti sono almeno in parte fondate. Il “batterio killer”, l’Escherichia Coli, non proveniva – come invece era stato ipotizzato in un primo momento – dai vegetali (cetrioli, fagioli, cetrioli, broccoli, aglio, zucche, legumi). Eppure l’iniziale allarme – infondato ma diffuso con immensa eco mediatica – fu sufficiente a determinare un crollo delle vendite di verdure (con punte, per i cetrioli, del 90% di invenduto nelle fasi di massima emergenza del giugno 2011). L’influenza suina del 2009 determinò un drastico calo delle vendite di carne di maiale, eppure causò un numero di morti molto inferiore a quello della normale influenza stagionale, e in ogni caso per evitare rischi bastava cuocere la carne. Quanto all’aviaria del 2005, pompata parossisticamente da quello che Marco Travaglio definì un “giornalismo dei polli”, si trattava di una patologia non trasmissibile da uomo a uomo e non contraibile dall’uomo seguendo semplicemente elementari principi igienici, eppure determinò danni impressionanti agli allevatori di tutto il mondo (ma con giganteschi vantaggi per le case farmaceutiche, legate spesso a doppio filo con la politica, come nel caso di Donald Rumsfield, Segretario della Difesa degli stati Uniti ma anche azionista dell’azienda californiana che aveva inventato il farmaco antiaviaria…). Certamente in questi casi il rischio era di contrarre malattie mortali, mentre nel caso dello scandalo della carne di cavallo la posta in gioco è inferiore (anche se il fenilbutazone presente nella carne di cavalli sportivi macellati illegalmente avrebbe comunque una correlazione con anemia plastica, disordini del sangue, e possibile insorgenza di tumori). È però anche vero che nel caso presente sono state effettivamente trovate tracce di fenilbutazone in alcune partite di carne analizzate, e gli effetti di questa e altre sostanze famacologiche per cavalli sportivi non si eliminano con la cottura.
In ogni caso lo scandalo della carne di cavallo – come ha spiegato la Coldiretti – va affrontato ben più in profondità di quanto non si sia fatto finora. “Questa situazione” – spiegano dalla Coldiretti in un comunicato stampa – “non può essere affrontata semplicemente con un aumento momentaneo dei controlli, perché è ormai chiaro che si tratta di una truffa non occasionale, ma sistematica che ha coinvolto piccole aziende ma anche i grandi marchi dell’agroalimentare mondiale, dalla Buitoni a Star fino alla Findus. Per evitare il ripetersi in futuro di altre emergenze e dipanare ogni dubbio sulle effettive caratteristiche del cibo che si porta a tavola occorrono interventi strutturali, come l’obbligo di indicare la provenienza degli alimenti in etichetta per farla conoscere ai consumatori e scoraggiare il proliferare di passaggi che favoriscono le truffe. Ma per evitare danni economici e occupazionali, le piccole e le grandi aziende multinazionali, soprattutto se titolari di marchi prestigiosi ,dovrebbero anche valutare concretamente l’opportunità di evitare forniture di prodotti di dubbia qualità e di origine incerta per acquistare invece al giusto prezzo prodotti locali e certificati che non devono percorrere lunghe distanze con mezzi inquinanti“.
Una cosa comunque va detta e ribadita: non è certo la carne di cavallo in sé a costituire un problema (la carne di cavallo è anzi un ottimo alimento, e gli italiani sono tra i massimi consumatori europei di carne equina, con un quantitativo medio di 1 chilo a testa per un totale di 42,5 milioni di chili); il problema è, oltre al falso in etichetta (non si può scrivere “manzo” se è cavallo), combattere l’uso illegale che talvolta avviene di carne di cavalli sportivi trattati farmacologicamente e utilizzati al posto del corretto uso di cavalli destinati all’alimentazione umana.
(Luigi Torriani)