Il nuovo Regolamento (UE) 1047/2012 della Commissione europea dell’8 novembre 2012 modifica il Regolamento (CE) n.1924/2006 in materia di indicazioni nutrizionali e etichette alimentari. Da ora in poi è prevista la possibilità di inserire in etichetta l’indicazione “senza sale aggiunto”. Un grande passo in avanti sulla trasparenza delle informazioni e sulla lotta all’abuso di sale.
Il problema della trasparenza ed esaustività delle indicazioni in etichetta riguarda gran parte dell’agroalimentare italiano. Con alcuni esempi particolarmente emblematici: il caso delle passate di pomodoro (non c’è l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei pomodori dalla cui lavorazione si è ottenuta la passata, e spesso questi pomodori provengono non dall’agricoltura italiana ma dalla Cina); il caso dell’olio (indicazioni di provenienza scritte troppo in piccolo e in forma troppo generica: “miscela di oli comunitari” e “miscela di oli non comunitari”); il caso del pesce (indicazioni troppo generiche: si indica solo la zona Fao di pesca, non il Paese in cui è stato pescato il pesce); il caso della carne (in Europa è perfino vietata l’etichetta facoltativa “no ogm”, proprio mentre la patria degli ogm – gli Stati Uniti – introduce l’obbligo di indicare in etichetta la presenza di ogm).
La mancanza di trasparenza in etichetta non si riduce naturalmente a una mancata soddisfazione della curiosità del consumatore. In ballo ci sono seri problemi di sicurezza alimentare. Il caso del sale in questo senso è emblematico. Si parla spesso della correlazione tra l’aumento dell’obesità e il contemporaneo abuso di bevande gassate e zuccherate e crollo dei consumi di frutta e verdura nel nostro Paese (meno 22% negli ultimi dieci anni). Contro questa tendenza (e anche per aiutare il settore ortofrutticolo italiano) il governo Monti ha innalzato dal 12 al 20% la percentuale minima di frutta obbligatoria nelle bevande analcoliche a base di frutta.
Si parla meno – ma il problema non è meno grave – dell’abuso di sale, che ha un impatto devastante sulla pressione sanguigna e sul rischio di malattie cardiovascolari. L’Italia – un tempo patria della dieta mediterranea – è oggi tra i Paesi primatisti al mondo per il consumo di sale, con una media di 10,8 grammi al giorno (12 per gli uomini e 10 per le donne). In pratica ogni giorno consumiamo senza rendercene conto l’equivalente di due cucchiaini da caffè di sale, che è il doppio delle dosi massime raccomandate e oltre dieci volte le dosi considerate ottimali dai nutrizionisti. Ma soltanto il 20-25% di questa montagna di sale proviene direttamente dal condimento in sale vero e proprio. Il restante 75-80% lo assumiamo indirettamente dai cibi, spesso senza averne piena contezza. A far salire esponenzialmente i livelli di sale nella nostra dieta sono soprattutto snack, patatine, stuzzichini da aperitivo, salumi e insaccati, formaggi stagionati, e dadi da brodo e glutammato (di cui tende a fare un uso smodato la cucina cinese).
L’obiettivo dell’Unione Europea è ridurre del 30% il consumo medio europeo di sale entro il 2025, arrivando per quella data a una media che non superi i 5 grammi al giorno (che significa meno della metà del sale che attualmente consumiamo in Italia). Tempo fa in Italia si era pensato a una tassa sui junk food o “cibo spazzatura” (le cosiddette fat tax), che poi non è stata implementata anche a causa delle feroci proteste degli operatori di settore (si veda per esempioi la polemica tra il titolare di Amica Chips e il governo Monti). Nel frattempo l’Unione Europea (Regolamento UE 1047/2012 dell’8 novembre 2012) introduce la possibilità di inserire in etichetta l’indicazione “senza sale aggiunto” per i prodotti alimentari che non superano gli 0,12 grammi/100 grammi di sodio. Forse è ancora poco, ma perlomeno qualcosa comincia a muoversi.
(Luigi Torriani)