Continua lo scandalo dei vini in polvere. Nonostante l’intervento dell’Unione Europea, il fenomeno sembra inarrestabile e addirittura si allarga, sbarcando su Amazon, il maggiore sito di e-commerce al mondo.
Cominciamo con il chiarire di cosa stiamo parlando. Il vino in polvere è venduto all’interno dei cosiddetti wine kit, scatole da 30 “bottiglie” che costano tra i 30 e i 40 euro. Ogni wine kit contiene un liquido (mosto concentrato) e diversi tipi di polveri e sostanze (tra cui: il lievito necessario per la fermentazione, la bentonite per la chiarificazione del vino, il metabisolfito di potassio, il sorbato di potassio come antifermentativo e il liquido chiarificatore, e talvolta anche segatura per dare un sentore di legno). Mescolando il liquido e le polveri e seguendo le istruzioni si ottengono, in circa 5 giorni, 30 bottiglie di “vino”.
Le virgolette sono d’obbligo perché il vino è una bevanda prodotta con l’uva, trasformata in cantina ed eventualmente invecchiata secondo regole ben precise. Il cosiddetto vino in polvere non è vino ma è qualcosa d’altro. Se fosse venduto con altri nomi e chiaramente differenziato dai (veri) vini nessuno avrebbe nulla da ridire. Il problema è che viene venduto come vino tout court, promettendo di realizzare in casa perfino i più prestigiosi vini delle grandi etichette italiane, dal Chianti al Valpolicella al Frascati al Primitivo al Gewurztraminer al Barolo al Lambrusco al Montepulciano (ci sono anche le etichette con nome e simboli di questi vini che vengono fornite nel kit per essere incollate sulle bottiglie!). Un recente servizio di Striscia la Notizia documenta il tutto all’interno di una rivendita svedese di wine kit, mostrando gli aspetti più grotteschi del fenomeno (si vende perfino un inesistente “Chianti Bianco”, ovviamente in polvere). E proprio in Svezia, vicino a Lindome, c’è il maggiore stabilimento europeo di vini in polvere, di proprietà della società Vinland, che produce e vende oltre 140.000 wine kit all’anno con i marchi “Cantina” e “Doc’s” (l’altro Paese leader mondiale nella produzione di vini in polvere è il Canada).
Di fronte a questa situazione e alle continue denunce delle associazioni di settore (con la Coldiretti in prima fila nell’indignazione), il Commissario all’Agricoltura Dacian Ciolos è intervenuto a inizio novembre chiarendo in questi termini la posizione dell’Unione Europea sui wine kit: “tali pratiche violano le norme in materia di etichettatura nel settore vitivinicolo stabilite dalla legislazione europea. I prodotti in questione non possono essere commercializzati utilizzando una denominazione di origine protetta (DOP) o un’indicazione geografica protetta (IGP), nemmeno attraverso una semplice evocazione del nome. Gli Stati membri devono adottare tutti i provvedimenti necessari a prevenire l’uso illecito del nome di una DOP o di un’IGP ritirando dal mercato tali prodotti”.
Tutto risolto? Assolutamente no. In un mercato sempre più globalizzato e sempre più virtuale quanto viene fatto uscire dalla porta rientra senz’altro dalla finestra. E infatti – com’era ampiamente prevedibile – i vini in polvere sbarcano su Amazon, naturalmente con ampio e spudorato utilizzo dei marchi italiani tutelati (teoricamente…) dall’Unione Europea. Abbiamo per esempio il wine kit “Vino italiano Barolo“, il wine kit “Vino italiano Cabernet Sauvignon“, il wine kit “Vino italiano Valpolicella style“, il wine kit “Vino italiano Chardonnay“, il vino in polvere “Chianti style“, il vino in polvere “Vino italiano Montepulciano“, il “Vino italiano Verdicchio“, il “Vino italiano Gewurztraminer“, il “Vino italiano Riesling“, il “Vino italiano Zinfandel Blush” (Zinfandel è l’analogo californiano del Primitivo), il “Vino italiano Piesporter” (vino di area tedesca e austriaca), e un generico “Tuscany Rosso Magnifico“. Il prezzo a wine kit varia tra i 37 e i 44,58 dollari (poi ci sono le “edizioni speciali” con prezzi fino ai 90 dollari).
“Meritano” – si fa per dire… – un cenno a parte i wine kit “Cornucopia fruit wine”, con “vini” al gusto di frutta (prezzo base a wine kit 48,14 dollari, salvo “edizioni speciali”, che costano di più). Anche in questo caso – ça va sans dire – si sfruttano senza nessuna remora i nomi di vini italiani. Abbiamo quindi per esempio il “Coconut Frascati“, un “vino Frascati al cocco” che secondo il commento di un acquirente “vi piacerà perché ha il sapore di una Piña Colada” (che è il famoso cocktail portoricano a base di rum bianco, latte di cocco e succo d’ananas), mentre secondo un altro acquirente “si tratta di uno dei vini preferiti tra la mia famiglia e gli amici” perché “il sapore di cocco non è prepotente e lo rende un ottimo vino“. Poi abbiamo il “Tropical Riesling” (vino Riesling al gusto di frutti tropicali), il “Pear Chardonnay” (uno Chardonnay alla pera), lo “Strawberry White Merlot” (Merlot bianco alla fragola), il “Raspberry Merlot” (Merlot al lampone), lo “Cherry Merlot” (Merlot alla ciliegia), il “Blackberry Zinfandel” (Zinfandel, o Primitivo, alle more), il “Green Apple Pinot Bianco” (Pinot bianco alla mela verde), il “Peach Chardonnay” (lo Chardonnay alla pesca), il “Pink Grapefruits Pinot Gris” (Pinot grigio al pompelmo rosa), il “Red Black Current Cabernet Sauvignon” (Cabernet Sauvignon al ribes), il “Melon Zinfandel” (Primitivo al melone), il “Kiwi Melon Verdicchio” (Verdicchio al gusto kiwi e melone), il “Green Apple Riesling” (Riesling alla mela verde), il “Red Raspberry Pinot Nero” (Pinot Nero al gusto lampone), il “Red Wildberry Chianti” (Chianti ai frutti di bosco), il “Peach Sauvignon Blanc” (Sauvignon Bianco alla pesca), il “Pomegranate Wildberry Zinfandel” (Zinfandel, o Primitivo, al gusto melograno e frutti di bosco). Ogni commento ulteriore è superfluo. Ma c’è un punto importante che forse giova ribadire in conclusione: il problema non è il fatto che vengano venduti dei prodotti di questo genere, il problema è l’Italian Sounding. Ognuno è liberissimo di vendere una bevanda alcolica al gusto di frutti di bosco, o al sapore di cocco. E non è strano che il consumatore possa apprezzarla, così come apprezza la Coca Cola o la Lemonsoda. Quello che è assolutamente inaccettabile (e che si riflette nel commento del consumatore che parla di “ottimo vino” al gusto di cocco) è che si possa chiamare simili bevande “vino Frascati al cocco” e “Chianti ai frutti di bosco”. Questo è un inganno gravissimo ai danni dei consumatori e una concorrenza sleale non meno grave ai danni del Made in Italy.
(Luigi Torriani)
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