L’italian sounding, come è noto, è uno dei massimi problemi dell’agroalimentare italiano. Secondo i dati Coldiretti il fatturato del falso cibo Made in Italy ha raggiunto i 60 miliardi nel mondo (più del doppio dell’export del vero Made in Italy alimentare, che pure è in crescita), più di due prodotti italiani su tre in commercio nel mondo sono falsi, e la mancata tutela del marchio Made in Italy costa all’Italia almeno 300.000 nuovi posti di lavoro solo nell’agroalimentare. Fin qui la situazione è nota ed è notoriamente molto difficile da contrastare. Ma il caso dei biscotti Milano ci porta ancora oltre: l’italian sounding sbarca direttamente sul mercato italiano. Vediamo di che si tratta.
L’italian sounding è l’evocazione di una (fallace) sensazione di italianità in prodotti alimentari che con l’Italia non hanno nulla a che vedere. Cibi e bevande presentati con un marchio dalle sonorità italiane (e spesso con la bandiera italiana in etichetta) ma che non hanno affatto un’origine italiana. Per esempio: il Parmesao brasiliano, il Regianito argentino, il Parmesan statunitense, le penne Napolita, il Brunetto, il Napoli Tomato, il Daniele Prosciutto, il Parma Ham, il Parma Salami del Messico, gli Chapaghetti della Corea, la Tinboonzola australiana, la Cambozola in Germania, Austria e Belgio, la mozzarella del Texas, la Robiola del Canada, l’Asiago del Wisconsin, il Provolone americano, il Prosec, il Parmeson cinese, la Palenta (al posto di polenta) della Croazia, … (qui un ampio elenco di prodotti taroccati).
Tutti questi prodotti – oltre a danneggiare l’immagine del Made in Italy – sottraggono ampie quote di mercato ai prodotti italiani. Ma le sottraggono sul fronte dell’export e dei mercati esteri. Nessuno si sognerebbe, per esempio, di vendere nei supermercati e negozi di Milano o di Roma gli chapaghetti coreani e la palenta croata. Tutto questo spiega, tra l’altro, l’estrema difficoltà nel contrastare il fenomeno dell’italian sounding: in alcuni casi i governi stranieri acconsentono a una qualche forma di tutela del Made in Italy (come nel caso della recente legislazione statunitense in difesa del prosecco), in altri casi (ben più spesso) i governi stranieri – nonostante le proteste italiane – sono indifferenti al fenomeno dell’italian sounding o addirittura lo incentivano (come nei casi – incredibili – del Canada e dell’Argentina).
Quello che dovrebbe essere relativamente facile (e ovvio) è risparmiare il mercato interno italiano dall’italian sounding più esplicito. E invece non è così, come mostra il caso quantomeno bizzarro dei biscotti Milano, segnalato nei giorni scorsi da un nostro lettore. Il quale ha acquistato presso l’Autogrill di Milano Lainate una confezione di biscotti “Milano menta” prodotti negli Stati Uniti dall’azienda Pepperidge Farm (euro 3,69). Il lettore ci ha inviato un’immagine del prodotto in questione e dello scontrino, invitandoci a segnalare la sua esperienza. Un caso sfacciato di italian sounding in un contesto come quello degli Autogrill che dovrebbe essere (e si vanta di essere) una vetrina dei prodotti tipici del Made in Italy per tutti i turisti stranieri che transitano per le autostrade italiane.
Intendiamoci: è (purtroppo) risaputo che molti dei prodotti commercializzati in Italia con marchio italiano derivano in realtà da materie prime di importazione (il fenomeno è particolarmente pronunciato per: pomodori, olio, latte e formaggi, prosciutto, funghi), e di recente ci sono stati in Italia un paio di scandali non da poco: quello del pecorino rumeno finanziato con soldi pubblici e quello del falso pecorino romano della Lactalis. Queste però sono situazioni diverse. Per esempio: l’imprenditore agricolo italiano realizza una passata di pomodoro in Italia e con marchio italiano ma una parte dei pomodori con cui ha realizzato la passata li ha importati dalla Cina per risparmiare. Questi sono (gravi) inganni ai danni dei consumatori (talvolta sanzionati dalla magistratura) ma non sono dei casi classici di italian sounding: il produttore è italiano, l’azienda è italiana, e una parte del processo produttivo avviene in Italia.
Nel caso dei biscotti Milano nessuno infrange la legge (si dichiara in etichetta la provenienza statunitense del prodotto), ma c’è un caso eclatante di italian sounding, di evocazione di italianità in un prodotto che non è (al 100% non è) italiano. È normale che un turista francese o tedesco (o magari americano…) che si ferma in un Autogrill di Milano debba trovare in bella vista su un espositore posto all’ingresso una confezione di biscotti “Milano” prodotti nel Connecticut?
(Luigi Torriani)
Se all’estero siamo indifesi speriamo che almeno in Italia, nuove leggi permettano ai prodotti italiani di essere meglio riconoscibili e quindi competitivi