Fino a qualche tempo i vini italiani dovevano fare i conti soltanto con una forma ben nota e tradizionale di truffa: l’Italian Sounding (il vino evoca nel nome e nell’etichetta una sensazione di italianità ma non è italiano, per esempio il Prosec statunitense; contro questo fenomeno, peraltro, gli Stati Uniti sono intervenuti recentemente con una legislazione in difesa del vero Made in Italy). Di recente sta però prendendo piede una nuova tendenza, quella dei wine kit con “vini” in polvere. Se prima avevamo a che fare con vini che simulavano i vini italiani ma almeno erano veri vini (anche se di minor pregio), ora abbiamo a che fare addirittura con dei prodotti che portano il nome dei vini italiani e non sono nemmeno vini…
I vini italiani hanno attraversato negli ultimi anni diversi problemi, dal calo dei consumi interni (le vendite di vino in Italia si sono praticamente dimezzate negli ultimi dieci anni) alla polemiche su vino biologico e solfiti fino alle questioni della liberalizzazione dei vigneti, della semplificazione burocratica e della vendemmia 2012 ai minimi storici. I vini italiani restano però i vini più bevuti nel mondo, con un export da record nel 2011, e con delle esportazioni che nel 2012 sono in generale in lieve calo ma sono in ancora in ascesa per gli spumanti (che registrano numeri di crescita impressionanti in particolare sul mercato cinese).
In questo contesto la Coldiretti, nell’ambito del Forum Internazionale dell’Alimentazione e dell’Agricoltura di Cernobbio (19 e 20 ottobre 2012), lancia l’allarme sul nuovo fenomeno dei wine kit, ovvero della vendita di fantomatici “vini” in polvere. Prodotti venduti su internet e in alcuni negozi non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, dove si parla di un mercato che conta già circa 20 milioni di wine kit, in parte prodotti nell’Europa stessa (nel Regno Uniti e anche in Svezia, dove è stato aperto di recente uno stabilimento per la produzione di vino in polvere).
Ma di che si tratta? Si tratta di un kit da 30 “bottiglie” che costa tra i 30 e i 40 euro. Il kit contiene un liquido (mosto concentrato) e diversi tipi di polveri ( il lievito necessario per la fermentazione, la bentonite per la chiarificazione del vino, il metabisolfito di potassio, il sorbato di potassio come antifermentativo e il liquido chiarificatore, e talvolta anche segatura per dare un sentore di legno). Mescolando il liquido e le polveri e seguendo le istruzioni si ottengono, in circa 5 giorni, 30 bottiglie di “vino”. Ad aggravare la situazione c’è poi il fatto che non si parla di un generico “vino” ma di volta in volta ben specifici vini. Si promette cioè di realizzare con questo procedimento i grandi vini delle più prestigiose etichette italiane, dal Chianti al Valpolicella al Frascati al Primitivo al Gewurztraminer al Barolo al Lambrusco al Montepulciano (con tanto di etichette con nome e simboli di questi vini che vengono fornire nel kit per essere incollate sulle bottiglie!).
Uno scenario francamente intollerabile che alla Coldiretti, in un comunicato stampa, commentano indignati in questi termini. “dopo la diffusione in Nordamerica, dove si sta registrando un vero boom con la moltiplicazione delle ditte produttrici e delle etichette falsificate (tra esse California Connoisseur e Beaverdale), i wine kit sono arrivati anche in Europa, dove si possono acquistare via internet e in molti negozi. E i recente è stato addirittura aperto uno stabilimento di lavorazione Ii un Paese che fa parte dell’Unione europea come la Svezia: una fabbrica che a Lindome, vicino a Goteborg, produce e distribuisce in tutto il continente e del tutto indisturbata oltre 140.000 wine kit all’anno, dai quali si ottengono circa 4,2 milioni di bottiglie. I wine kit della società Vinland vengono venduti con i marchi Cantina e Doc’s, che fanno esplicito riferimento alla produzione italiana, ma anche ad un marchio di qualità tutelato dall’Unione Europea, creando una situazione inaccettabile. Il vino si fa con l’uva prodotta in vigna e trasformata nella cantina e va eventualmente invecchiato secondo precise regole e non si ottiene certo con le bustine in polvere dalle quali si realizzano miscugli che non hanno neanche il diritto di chiamarsi con il nome del nettare di bacco. Abbiamo per questo chiesto alle autorità nazionali di intervenire immediatamente anche attraverso l’Unione europea per fermare uno scempio intollerabile che mette a rischio con l’inganno l’immagine e la credibilità dei nostri vini più prestigiosi conquistata nel tempo grazie agli sforzi fatti per la valorizzazione di un prodotto che esprime qualità, tradizione, cultura e territorio. si tratta di un esempio eclatante della superficialità con cui troppo spesso in Europa si trattano i temi della qualità alimentare e della trasparenza dell’informazione ai consumatori sull’origine e sui processi che portano gli alimenti sulle nostre tavole”.
(Luigi Torriani)
Io mi domando come mai un kit di produzione di birra (che si basa sullo stesso procedimento di diluizione del mosto, aggiunta di lieviti in polvere, metabisolfito per la sterilizzazione e a volte aromi) non desti tanto sgomento come uno di questi kit per la produzione di vino? Fatto salvo la necessità di controllarne la salubrità del prodotto alimentare, non è che tali kit ci indignino di più solo perché più pericolosi per un mercato da noi, in Italia, più diffuso rispetto ad altri (tipo quello già citato della birra) che per un pericolo per la salute dei consumatori?