Ormai in Italia il settore alimentare è praticamente tenuto in piedi dall’export, che continua a crescere. Sul fronte dei consumi interni tutti i dati mostrano una situazione preoccupante, legata sicuramente all’effetto della Crisi economica e della riduzione del potere d’acquisto delle famiglie italiane (anche delle famiglie ricche, dato che nell’ultimo anno sono crollati i consumi di caviale e champagne…). Ma è anche chiaro che l’inflazione con correlato aumento dei prezzi dei generi alimentari non aiuta…
Uno studio della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) relativo all’andamento dei consumi alimentari in Italia negli ultimi cinque anni (cioè da quando è iniziata la Crisi) segnala una forte contrazione della spesa che interessa tutti i settori merceologici dell’agroalimentare italiano. Il dato generale è oltremodo chiaro: tra il 2007 e il 2012 le famiglie italiane hanno diminuito il budget destinato alla spesa alimentare di 11 miliardi di euro (al netto della dinamica dei prezzi). E i tagli non riguardano soltanto beni voluttuari e spese superflue, ma vanno a toccare anche le principali voci di spesa: le venite di pane e pasta negli ultimi cinque anni scendono in valore del 10%; le vendite di carne calano dell’8%; le vendite di formaggi perdono in valore il 9,9% (e considerando congiuntamente pane, pasta, carne e formaggi arriviamo a dei tagli che ammontano a oltre 6,6 miliardi di euro). Scendono drasticamente anche i consumi di frutta (-759 milioni di euro) e verdure (-835 milioni di euro), anche se in questi due casi la crisi ha radice lontane e più profonde (tra il 2000 e il 2010 le vendite di frutta e verdura in Italia sono scese del 22%, mentre nell’alimentazione cresce l’importazione di uno stile “americano” e aumenta l’obesità, tanto che per contrastare il fenomeno si era pensato nei mesi scorsi di introdurre delle Fat Tax, e il governo Monti ha alzato il contenuto minimo di frutta nelle bibite dal 12 al 20%).
I dati Fipe mostrano un altro aspetto interessante: mentre negli ultimi dieci anni i consumi alimentari domestici scendono di 11 miliardi di euro (con un decremento medio annuo, tra 2007 e 2010, del 2%, mentre la media europea registrava addirittura una crescita a un tasso medio dello 0,2%), nello stesso periodo i consumi alimentari extradomestici (alberghi, bar, ristoranti) perdono “solo” 313 milioni di euro (con un decremento medio annuo, tra 2007 e 2010, dello 0,5%, mentre la media europea è del -2%, con un altissimo -4,6% in Spagna, un -2,1% nel Regno Unito e un -0,8% in Francia). Se è vero quindi che la situazione di alberghi, bar e ristoranti in Italia è sempre più preoccupante, e che l’estate 2012 è stata l’estate nera del turismo italiano con un ritorno a flussi turistici da anni ’70, non sembra però suffragata dai dati l’idea diffusa (ormai un luogo comune) secondo cui il consumo alimentare domestico starebbe sempre più sostituendo il consumo alimentare extradomestico in bar, alberghi e ristoranti. I dati mostrano invece un calo dei consumi alimentari sia sul fronte domestico sia sul fronte extradomestico, ma più pronunciato sul fronte dei consumi domestici (il che significa che c’è una relativa tenuta dei ristoranti di fronte alla Crisi). La dinamica in corso sembra piuttosto di questo tipo: la spese alimentari domestiche sono sempre più al risparmio tagliando sulla qualità dei prodotti e pianificando sempre di più la spesa (infatti c’è un crescente successo anticiclico dei discount, mentre scendono i consumi domestici di filetti e tagli pregiati di carne e si assiste a un crollo degli acquisti alimentari d’impulso), mentre ci si continua a togliere qualche sfizio andando come prima al ristorante (ma meno spesso di prima). Unica eccezione a questa dinamica è il settore del Biologico, che continua a crescere nonostante offra prezzi mediamente più alti rispetto a quelli dei prodotti convenzionali.
In questo contesto certamente non aiutano l’inflazione e l’andamento al rialzo dei prezzi (in Italia gli alimentari costano il 6% in più della media Ue). A settembre 2012 i prezzi dei prodotti alimentari hanno fatto registrare l’aumento congiunturale più alto (+0,6%) dopo quello dell’istruzione, aumento legato soprattutto all’effetto valanga dei rincari di benzina (+20,1%) e gasolio (+21,7%), e quindi all’aumento dei costi di produzione e di trasporto dei prodotti alimentari (infatti crescono gli acquisti diretti dal produttore per risparmiare…). Una situazione in cui secondo la Coldiretti “sei italiani su dieci (il 61%) hanno tagliato la spesa alimentare per effetto dell’aumento dei prezzi e del crollo del potere d’acquisto”. E di certo non aiuta l’imminente aumento delle aliquote Iva…
(Luigi Torriani)
Come riportato nell’articolo, il cittadino consumatore paga i generi alimentari (ed altro) più di un equivalente cittadino europeo (compresa la Germania).
Questo non solo a causa di un sistema distributivo inefficiente, ma soprattutto per il costo del sistema sulle attività produttive. L’alleggerimento promesso dal governo Monti non si é visto:
– aumentano le accise sulla benzina (ed aumenta il costo dei trasporti)
– dopo l’IMU aumentano gli affitti per gli esercenti
– i costi del personale non si riducono.
:sigh: 😮 😛
Purtroppo lo Stato é sempre più ingordo: taglia il minimo e pretende sempre di più per ridurre gli interessi sul debito (a proposito …. dove sono finite le dismissioni dei beni dello stato)
A proposito di dismissioni dei beni dello Stato, ricordo che incredibilmente stanno continuando a rimandare la vendita dei terreni agricoli dello Stato: http://www.universofood.net//index.php?option=com_content&view=article&id=590%3Avendita-terreni-agricoli-dello-stato-si-continua-a-rimandare&Itemid=56
I liretally jumped out of my chair and danced after reading this!