Quello dell’Italian sounding e del falso Made in Italy è sicuramente il problema più grave con cui deve fare i conti l’agroalimentare italiano sul fronte dell’export. Se a questo problema aggiungiamo il fatto che molti marchi italiani sono stati acquistati negli ultimi anni da multinazionali straniere, arriviamo al caso della Lactalis che usa il marchio Galbani per vendere falso Pecorino romano negli Stati Uniti…
L’export agroalimentare italiano, nonostante la crisi, è in crescita (+9% in valore nel 2011). Soprattutto per vini, formaggi e salumi. I Problemi, tuttavia, sono ben lontani dall’essere risolti. Di recente l’Argentina ha bloccato le importazioni di prosciutti italiani, una misura protezionistica incredibile in un mercato dove nel 2011 avevamo esportato 264 tonnellate di salumi. Nel frattempo in Canda c’è il caso assurdo del Prosciutto di Parma (il vero Parma italiano deve essere venduto con il nome di “Prosciutto originale”, mentre il falso Parma canadese viene commerciato come “Prosciutto di Parma”!). Poi ci sono innumerevoli casi di Italian Sounding che riguardano i formaggi, fino alla situazione pazzesca del pecorino rumeno finanziato con soldi pubblici italiani.
Nel frattempo cominciano a venire al pettine i nodi di un fenomeno finora troppo sottovalutato: negli ultimi anni la maggior parte dei grandi marchi dell’agroalimentare italiano sono stati ceduti all’estero. Il marchio continua a essere italiano ma la proprietà è straniera. Per esempio: Buitoni, Perugina, Antica Gelateria del Corso, Sanpellegrino sono della multinazionale svizzera Nestlè. Fattoria Scaldasole è della francese Andros, gli oli Sasso, Carapelli e Bertolli sono del gruppo spagnolo SOS, gli spumanti Gancia sono dell’oligarca russo Roustam Tariko, Ar Pelati è della società Princes (controllata dalla giapponese Mitsubishi), le birre Peroni sono dell’azienda sudafricana SABMiller, Parmalat, Locatelli e Galbani sono della francese Lactalis. Tutti cessioni avvenute negli ultimi anni, fino a rivoluzionare completamente il panorama del settore alimentare italiano, che ormai è per larga parte nelle mani di aziende non italiane che hanno il solo interesse di sfruttare al massimo e senza regole il marchio Made in Italy. Con conseguenze spesso deleterie.
Proprio in questi giorni la Lactalis l’ha combinata davvero grossa, mettendo in commercio un falso Pecorino romano con il marchio Galbani. Prodotto fuori dall’Italia, il formaggio in questione viene venduto sul mercato statunitense con il brand “Romano” e con tanto di imitazione in etichetta di forma e marchio Dop del vero Pecorino romano. Uno squallido raggiro che il presidente del Consorzio Pecorino romano Gianni Maoddi commenta in questi termini: “si tratta di una vera e propria truffa. Alla palese contraffazione del nome si è aggiunto perfino l’utilizzo del marchio italiano per commercializzare un formaggio straniero, che non solo sfrutta il sounding del Pecorino Romano ma ne imita addirittura forma e marchio Dop. Simili trucchi non sono peraltro nuovi per questa multinazionale. La Lactalis, infatti, nel 1997 cercò di registrare negli Usa il brand commerciale ‘Pecora’, senza però riuscirci per la ferma opposizione del Consorzio, che con un’onerosa causa legale acquisì il marchio per impedirne l’uso e l’abuso”.
(Luigi Torriani)