Nell’agroalimentare italiano vale una regola: più aumentano le importazioni di un prodotto, più aumentano le truffe e i raggiri. Si importa sempre di più per poter avere un prodotto a basso prezzo (e di minore qualità) da rivendere poi come falso Made in Italy. Un fenomeno preoccupante che sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni. L’ultimo caso è quello dei tartufi, con i sequestri in continua crescita di pari passo con l’aumento dell’import. Nel frattempo gli agricoltori italiani sono sottopagati…
Il caso dell’olio d’oliva è emblematico. Sugli scaffali dei negozi e dei supermercati italiani l’olio sembra sempre “extravergine italiano”. Peccato solo che negli ultimi vent’anni le importazioni di olio d’oliva in Italia sono praticamente triplicate e l’Italia è ad oggi non un buon importatore ma il massimo importatore mondiale di olio (che arriva per il 74% dalla Spagna, per il 15% dalla Grecia e per il 7% dalla Tunisia). In certi casi l’inganno è formalmente legale (quando l’olio riporta in etichetta marchio e simboli tricolori ma anche la corretta dicitura – scritta in genere in caratteri minuscoli – “miscela di oli comunitari” o “comunitari e non comunitari”). In altri casi è una vera e propria truffa, come i 500.000 litri di olio proveniente da Spagna e Maghreb che venivano trattati con clorofilla e betacarotene e venduti come extravergine italiano e che sono stati sequestrati nei giorni scorsi dai carabinieri dei Nas.
Una altro scandalo è quello dei pomodori cinesi. Anche qui il procedimento è più o meno sempre lo stesso: si importano pomodori o derivati dall’Oriente a prezzi stracciati, li si lavora e li si confeziona in Italia, si fa un etichetta con simboli e colori che richiamano all’italianità, e il gioco è fatto (anche grazie alla complicità della legge italiana, che non obbliga a indicare la provenienza dei pomodori in etichetta). Poi uno va a vedere i dati e scopre che negli ultimi dieci anni le importazioni di pomodoro dalla Cina sono aumentate del 272%, e che ancora nel 2011 l’import di pomodori e derivati dalla Cina è cresciuto del 17%, per un totale di 113 milioni di chili. Il che significa che almeno il 15% dei derivati di pomodoro venduti in Italia sono di origine cinese, anche se il consumatore non lo sa (e può sperare soltanto nelle – rarissime, più uniche che rare… – sentenze di condanna per gli imprenditori che bluffano).
Qualcosa di simile vale anche per il prosciutto. Che sembra sempre “italiano”, almeno a guardare le etichette. Non fosse per il lievissimo dettaglio che in Italia si sono prodotte nel 2011 solo 24,5 milioni di cosce di maiale, mentre ne sono state importate 67 milioni (che dopo la trasformazione e la stagionatura sono pronti a diventare, come per incanto, dei prosciutti ‘Made in Italy’).Tre prosciutti su quattro venduti in Italia sono in realtà ottenuti da maiali allevati all’estero (dato Coldiretti), e anche in questo caso il consumatore medio è del tutto ignaro del fenomeno. E il discorso è del tutto analogo se parliamo di latte, formaggi, funghi e pesce (in alcuni casi – come quello del pecorino rumeno finanziato con soldi pubblici – con veri e propri scandali che si consumano con il totale beneplacito della classe politica italiana).
Ora è la volta dei tartufi, i pregiatissimi tuberi il cui prezzo è ulteriormente salito con l’aumento tremontiano dell’Iva dal 20 al 21% e salirà ulteriormente se ci sarà il ventilato ulteriore aumento del 2% voluto dal governo Monti. Secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat le importazioni di tartufi in Italia sono quasi raddoppiate nel primo trimestre del 2012 rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente (da 2200 a 4200 chili). Nel frattempo è arrivata la notizia che i Nuclei anti sofisticazione hanno sequestrato 300 chili di tartufi africani, specie molto comuni e di scarso valore che venivano trattate con oli e aromi sintetici e poi erano vendute a negozi come tartufo bianchetto italiano, specie pregiata di tartufo con un valore di mercato tra i 180 e i 700 euro al chilo. In attesa di nuove “scoperte”…
(Luigi Torriani)