Da una parte il problema dell’obesità, in continua crescita anche in Italia. Dall’altra la crescente necessità degli Stati, specialmente l’Italia, di fare cassa in un periodo di crisi e di conti pubblici disastrosi. Il risultato sono le tasse sui junk food, che il governo Monti ha intenzione di introdurre a breve sia sulle patatine fritte sia sulle bevande gassate e zuccherate.
Prima è saltata fuori l’idea delle tasse sulle patatine fritte. Ed è scoppiata la polemica tra il governo Monti e il titolare di Amica Chips Alfredo Moratti, che – intervistato da Il Giornale – ha detto chiaro e tondo che se arriva la tassa sui junk food vende tutto a una multinazionale e se ne va dall’Italia. La tassa di cui si parla sarebbe infatti di un euro per ogni chilo di prodotto, che per Amica Chips significa 75.000 euro al giorno visto che la produzione giornaliera dello stabilimento di Castiglione delle Stiviere è di 75 tonnellate.
È di questi ultimi giorni la notizia di un’ulteriore ipotesi che è al vaglio del governo Monti: un prelievo di scopo di 33 centesimi per ogni bottiglia da 33 cl di “bevande zuccherate e gassate”. In pratica una tassa che porterebbe nelle casse dello Stato 250 milioni di euro in più all’anno. L’idea, lanciata dal ministro della Salute Renato Balduzzi, ha già scatenato il dibattito.
Contraria è la Fipe-Confcommercio, il cui presidente Lino Stoppani ha dichiarato: “l’educazione alimentare si coltiva sollecitando il consumatore a conoscere i valori nutrizionali di ciò che beve e di ciò che mangia. E questa educazione deve partire dalle aule scolastiche, perché un bambino ben educato al cibo diventerà un consumatore più consapevole. Questa tassa di scopo porterà solo a diminuire le vendite di bibite gassate oppure a ridurre i fatturati di baristi e ristoratori. Il fatto poi di ispirarsi all’iniziativa francese di tassare bevande gassate nel tentativo di raccogliere fondi da destinare alla tutela della salute non può essere un buon motivo da replicare in Italia dove la tassazione è già oggi fra le più alte d’Europa“. Più sfumata la posizione della Coldiretti, che invita il governo a battere un’altra strada, quella dell’aumento della quantità di frutta minima obbligatoria nelle bibite (lo scopo, evidente, è quello di aiutare il settore ortofrutticolo italiano, che sta vivendo una situazione difficilissima): “per migliorare concretamente la qualità dell’alimentazione nelle giovani generazioni occorre aumentare la quantità di frutta nelle bibite, che oggi per legge contengono appena il 12 per cento di vero succo. Ogni punto percentuale di succo di arancia in più oltre al 12 per cento corrisponderebbe all’utilizzo di 25 milioni di chili in più di arance, pari a circa 560 ettari di agrumeto”.
(Luigi Torriani)
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