Il 2011 è stato un anno trionfale per i cibi biologici, con vendite da record soprattutto per pasta, mozzarelle e latte biologici. Oggi il marchio biologico è vincente, ed è uno dei pochi comparti che tiene di fronte alla crisi, e anzi cresce (mentre gli ogm sono in crisi nera…). Se nel 2000 l’agricoltura biologica rappresentava solo il 3% della superficie agricola dell’Unione Europea, oggi è uno dei settori più floridi dell’agroalimentare, con una crescita annua sul 25% tra il 1993 e il 1998, e del 30% circa a partire dal 1998. Ma è davvero tutto oro quel che luccica?
Le truffe alimentari sono all’ordine del giorno, soprattutto in Italia, Paese che detiene il record europeo per le agromafie e per le segnalazioni di cibi contaminati all’Ue. La notizia è che anche il marchio biologico è tutt’altro che una garanzia per i consumatori. Dai ricercatori statunitensi dell’NIEHS sono arrivate notizie inquietanti sulla presenza di arsenico nel riso e nello sciroppo di riso biologici (quest’ultimo viene usato come dolcificante in sostituzione dello sciroppo di glucosio e fruttosio in alimenti e bevande per l’infanzia e nelle barrette energetiche per gli sportivi). Nel frattempo a dicembre 2011 è saltato fuori uno scandalo enorme per il biologico italiano. Sono state sequestrate dalla Guardia di Finanza circa 700.000 tonnellate di di falsi prodotti biologici (il che significa che il 10% del mercato biologico nazionale è costituito da prodotti fasulli!).
Questo lo scandalo di dicembre in sintesi. Tutto parte con verifica fiscale: la Guardia di Finanza controlla una ditta veneta di commercio all’ingrosso di farine e mangimi, un’azienda il cui fatturato ha avuto una crescita che soprattutto in tempi di crisi è quantomeno sospetta (da 9 a 49 milioni di euro). Quello che salta fuori, oltre alle frodi fiscali, è sconcertante: 704.000 tonnnellate di prodotti agricoli smerciati con marchio bio assolutamente ingiustificato, per un valore all’ingrosso che supera i 210 milioni di euro. Si parla cioè di una truffa che riguarda un decimo dell’intero volume di spesa per il biologico italiano. In pratica si scopre che vengono venduti con il marchio biologico, a prezzi maggiorati, dei prodotti agricoli convenzionali, del tutto non biologici, che dovrebbero costare ai consumatori fino a un terzo in meno (soia, grano tenero, mais, semi di girasole, orzo, ortaggi e frutta, soprattutto mele, mangimi per allevamenti che producono carni o salumi biologici). I grossisti (poi arrestati) compravano a prezzi normali, attaccavano in etichetta il marchio bio, e poi vendevano a tariffe gonfiate in Italia, Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Ungheria e Romania. L’Italia è in effetti il primo Paese europeo nella produzione e nell’export di cibi biologici. Si è visto tuttavia di quale “biologico” si sta parlando…
Oggi, a distanza di pochi mesi dalla grande truffa, è un’indagine di Altroconsumo sui Gas (Gruppi di acquisto solidale) a riportare l’attenzione sugli inganni che si nascondono dietro gli slogan “biologico” e “km zero”. In Italia ci sono 1.600 Gas, e 160.000 persone (40.000 famiglie) che scelgono abitualmente i gruppi bio solidali per fare la spesa. Credendo di spendere poco (circa 2.000 euro all’anno per famiglia) riuscendo al tempo stesso a mangiare cibi genunini e ad aiutare i piccoli produttori con acquisti ecologici e solidali. Il problema è che secondo le recenti indagini di Altroconsumo 3 aziende “biologiche” e “solidali” su 9 vendono prodotti assolutamente non biologici, trattati con pesticidi e di scarsa qualità. Di “biologico”, non di rado, c’è soltanto l’etichetta, e la frutta a “km zero” arriva spesso dall’Argentina, del tutto all’insaputa dei consumatori.
Spiega Franca Braga, responsabile Alimentazione e salute di Altroconsumo: “uva con tracce di pesticidi, mele e pere cresciute sugli alberi dell’Argentina (‘quando la merce di casa finisce…’), formaggi freschi con quantità elevate di batteri indicatori di scarsa igiene o sostanze potenzialmente cancerogene. Maiali e conigli allevati con metodo biologico ma in stalle che non sono a norma bio, alimenti ordinati online da aziende che vendono ma non sempre producono. Il settore dei Gas è pieno di buoni intenti ma non ancora sufficientemente regolamentato. Non tutte le fasi della filiera ma solo alcune (come l’alimentazione dei bovini) seguono i parametri previsti dalla legge per ottenere la relativa certificazione. Si risparmia oltre il 20% rispetto a un tradizionale negozio bio, ma in tre casi su nove l’uva bio esaminata ha presentato tracce di pesticidi non ammessi: alle tre aziende esaminate, una di Milano e due di Roma, è stato dato un giudizio pessimo. La qualità di frutta e verdura nel complesso è risultata poco più che soddisfacente, e sono eccessivi i quantitativi di scarto, per colpa della scarsa pulizia o per il cattivo stato di conservazione. Quanto ai formaggi, due su otto sono risultati fuori norma: in uno venduto a Milano sono state trovate quantità elevate di un batterio che indica scarsa igiene (molto probabilmente è stato usato latte crudo), in un altro di Roma erano presenti valori elevati di aflatossine, sostanze potenzialmente cancerogene derivanti dai mangimi. Anche la carne non è sicura: di farmaci nessuna traccia, ma i tagli non sono sempre all’altezza. Settanta euro per cinque chili invece di 69. Con questo, sia chiaro che trovare qualche problema non significa che l’intero sistema è sbagliato. Ci sono tanti aspetti positivi, a cominciare dalle buone intenzioni a tutela dei piccoli produttori e dell’ambiente. Ma è necessario tenere la guardia molto alta nei confronti dei fornitori. Un Gas deve pretendere, oltre alla qualità, anche la trasparenza delle informazioni. Questo purtroppo non è sempre garantito, almeno nello spaccato che abbiamo esaminato.
(Luigi Torriani)