Oggi in Europa è possibile piantare un vigneto soltanto acquistando (in genere a caro prezzo) il diritto di farlo da un produttore vinicolo che ha scelto di vendere i diritti sui suoi vigneti. Il Consiglio dei Ministri dell’Ue nel 2007 ha però deciso per l’abolizione dei diritti d’impianto sui vigneti, inserendola nella riforma della Pac che dovrebbe entrare in vigore entro il 2015-2016 (l’abolizione dei diritti di impianto sui vigneti sarebbe operativa a partire dal primo gennaio 2016). Ma la liberalizzazione dei vigneti ha incontato la dura opposizione di diversi Stati membri, con l’Italia in prima fila nel difendere lo status quo. La battaglia è ancora aperta, e tutto si deciderà nell’ambito del “Gruppo di alto livello sul vino”, una commissione specifica che si è insediata a Bruxelles a inizio 2012 e che ha il compito di consegnare al Commissario europeo Dacian Ciolos entro la fine dell’anno le linee guida e le raccomandazioni in vista delle imminenti modifiche dell’organizzazione del mercato vinicolo in Europa.
Il 2011 è stato un anno da record per i vini italiani. Che continuano a frenare sul mercato interno, ma che segnano un export da 4,4 miliardi di euro, con un +235% nelle esportazioni di spumante in Cina, con tutta una serie di problemi di semplificazione burocratica ancora aperti, ma con un dato di fondo: i vini italiani sono i vini più bevuti nel mondo. Ma c’è una nuova paura per i produttori italiani: la liberalizzazione dei vigneti. Che come ogni liberalizzazione, in qualunque settore, incontra sempre le resistenze protezionistiche di chi in quel settore già ci lavora. I produttori temono di perdere quote di mercato a favore di nuovi viticoltori, mentre le organizzazioni agricole vedrebbero sfumare le fortune derivanti dall’intermediazione sulle compravendite dei diritti.
Attualmente il mercato del vino in Europa non è un libero mercato. Mentre chiunque è libero – per esempio – di creare un campo di patate e di vendere patate, o di creare un oliveto e vendere olive o olio, per impiantare vigneti e diventare produttori vinicoli si devono acquistare i diritti per farlo, mentre nei Paesi extra Ue si diventa produttori vinicoli pressochè liberamente. Inoltre i consorzi hanno la facoltà di stabilire un tetto massimo per le iscrizioni dei vigneti alle DOC (per esempio nella zona del Morellino di Scansano le iscrizioni sono chiuse da tempo, per cui se uno oggi pianta dei vigneti in quella zona, anche se produce nell’area della DOC e segue il disciplinare della DOC, non può chiamare il suo vino Morellino di Scansano DOC, deve trovare un altro nome). Inoltre l’Europa eroga regolarmente dei contributi al settore. È ovvio quindi che i produttori vinicoli si oppongano alla fine del sistema protezionistico dei diritti di reimpianto e a un’ipotesi di liberalizzazione che vedrebbe la fine dei contributi e l’avvento di un libero mercato in cui tutto sarebbe lasciato alla concorrenza (con effetti prevedibili sia di delocalizzazione sia di diminuzione dei prezzi al pubblico) e i vigneti non verrebbero più contingentati.
Questa la posizione ufficiale del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative, espressa in questi termini dal presidente Adriano Orsi: “se l’Europa procederà sulla strada della liberalizzazione dei diritti di impianto, il prezioso patrimonio vitivinicolo italiano correrà il rischio di una vera e propria delocalizzazione. Se passa la decisione della liberalizzazione già a partire dal 2015 le produzioni potranno essere impiantate ovunque, in relazione all’andamento della domanda e dell’offerta. La viticoltura di qualità dei nostri innumerevoli presidi collinari e di montagna rischierebbe di non essere più premiata, perché prodotta con costi troppo alti che il mercato ‘libero’ non sarà più in condizione di riconoscere. Con la liberalizzazione avremo inoltre un incremento indiscriminato ed incontrollato di produzione di vino sul mercato, con l’inevitabile conseguenza di un crollo dei prezzi di vendita“.
Questo il più recente comunicato stampa della Coldiretti sull’argomento, con posizioni più articolate che chiamano in causa anche la disparità attuale di trattamento tra il vino dell’area mediterranea e il vino dell’Europa continentale: “l’abolizione dei diritti di impianto porterebbe gravi distorsioni all’interno delle aree viticole e una crescita della viticoltura industriale, con ricadute negative anche sul reddito dei produttori. La battaglia per il mantenimento del sistema dei diritti di impianto dei vigneti va condivisa anche perché l’attuale normativa comunitaria è fortemente penalizzante per le aree vocate e tradizionali dell’Europa mediterranea. Il mantenimento dei diritti contribuirebbe a mantenere in equilibrio il vigneto Ue, sfavorendo la delocalizzazione verso le aree del nord e dell’est Europa. Il tema della liberalizzazione dei diritti di impianto non può essere visto senza considerare il complesso delle regole stabilite all’interno della attuale Ocm vino, che prevede tra l’altro la conferma dello zuccheraggio. Questa pratica, mantenuta nell’attuale quadro delle regole comunitarie, va rimessa quindi in discussione dal momento che va riaffermato il principio della vocazione territoriale. Il quadro normativo attuale mantiene una disparità non accettabile nella definizione di vino in ambito comunitario in quanto in Italia e nell’area mediterranea il vino è ottenuto esclusivamente dall’uva, mentre il vino dell’Europa continentale è un prodotto che non necessariamente è ottenuto solo dall’uva perché di fatto viene data la possibilità di aggiungere lo zucchero che, ottenuto dalla barbabietola o dalla canna da zucchero, ha spesso una provenienza extra Ue. Già oggi pertanto si assiste ad una situazione di vantaggio competitivo per le produzioni del Nord e dell’Est Europa; situazione che, insieme alla liberalizzazione delle superfici vitate – prevista a partire dal primo gennaio 2016 – potrebbe spingere a una forte delocalizzazione delle superfici vitate stesse. L’effetto della liberalizzazione va poi anche valutato alla luce del crescente potere contrattuale della distribuzione, l’incremento di quota di mercato dei nuovi vini varietali da tavola e il crescente fenomeno delle ‘Private e Proprietry Label’ nel vino. Queste ultime tendenze insieme allo zuccheraggio e alla liberalizzazione avranno un effetto devastante sulla vitivinicoltura tradizionale del mediterraneo determinandone una forte spinta verso la delocalizzazione. Qualsiasi forma di transizione verso un sistema non basato sui diritti di impianto in ambito UE non potrà essere accettato senza rimettere in discussione la possibilità di utilizzare le zucchero per aumentare la gradazione dei vini prodotti nelle aree meno vocate dove il vigneto Ue tenderà a spostarsi“.
(Luigi Torriani)
tutti quello che ha scritto è giusto ma,se non si aboliscono le quote molti terreni resteranno incolti. per mancanza di culture valide.le quote danno prezzo al prodotto vinicolo ma chi ne usufruisce è solo una piccola parte di agricoltori