Torna al centro dell’attenzione il caso dell’Italian Sounding. Con la Coldiretti infuriata dopo aver scoperto che alcuni prodotti della Lactitalia Srl, società partecipata dello Stato italiano, vengono prodotti completamente in Romania con latte rumeno e vengono poi venduti con marchio italiano e con etichette che evocano l’italianità con nomi e immagini. Un caso clamoroso di falso Made in Italy finanziato direttamente dallo Stato italiano. Dopo le proteste, è arrivato l’intervento del ministro Passera, che ha annunciato il divieto a qualsiasi finanziamento pubblico nei casi di Italian Sounding.
Da tempo, e notoriamente, sul mercato italiano sono ampiamente presenti prodotti stranieri ingannevolmente spacciati per italiani, dalle olive e olio al latte, ai formaggi, al pesce ai funghi. Questa volta, tuttavia, si è davvero passato il limite. La Coldiretti ha scoperto che la caciotta e il pecorino di Lactitalia, presentati in etichetta come italiani, sono in realtà dei formaggi rumeni, realizzati direttamente in Romania con latte rumeno. E siccome Lactitalia è una società partecipata dalla Simest, società per azioni controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico, in pratica lo Stato italiano partecipa direttamente, con i soldi pubblici, a questa truffa ai danni del vero Made in Italy.
Immediamente è partita la protesta. Innanzitutto con questo durissimo comunicato stampa diffuso da Coldiretti: “la mancata tutela del marchio Made in Italy costa all’Italia almeno 300mila nuovi posti di lavoro solo nell’agroalimentare e supera i cento miliardi all’anno di mancato fatturato. Il marchio Italia è il principale patrimonio del Paese e dovrebbe essere adeguatamente tutelato e rispettato. Invece è spesso banalizzato, usurpato, contraffatto e sfruttato, come dimostra il caso emblematico del pecorino prodotto completamente in Romania con i soldi dello Stato italiano. Un esempio dei troppi casi di disattenzione e sottovalutazione nei confronti di una delle poche leve competitive di cui il Paese dispone per ricominciare a crescere. A distanza di oltre un anno dell’ultima legge nazionale per rendere obbligatoria l’etichettatura di origine degli alimenti nessuno si è preso la responsabilità di applicarla per fare sapere agli italiani quello che mangiano. Il 33 per cento dei prodotti agroalimentari commercializzati in Italia o esportati per un valore di 51 miliardi deriva da materie prime importate e rivendute poi col marchio Made in Italy. È uno scandalo l’utilizzo improprio di risorse pubbliche da parte della ‘Società italiana per le imprese all’Estero – Simest s.p.a.’ (società finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all’estero controllata dal Ministero dello sviluppo economico), risorse destinate a finanziare direttamente o indirettamente la produzione o la distribuzione di prodotti alimentari che non hanno nulla a che fare con il tessuto produttivo del Paese. Le operazioni di sostegno dell’Italian sounding, da parte della Simest, determinano danni gravissimi, e bloccano ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della saturazione del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del Made in Italy. Non può essere poi taciuto che il sostegno di Simest si indirizza ad investimenti in attività di delocalizzazione che oltre a costituire occasioni di concorrenza sleale ai prodotti italiani sottraggono colpevolmente opportunità di lavoro ed occupazione al sistema Italia”.
Poi è arrivato il monento della protesta di piazza, con l’alleanza per il Made in Italy promossa dalla Coldiretti in piazza Montecitorio a Roma, insieme alle associazioni dei consumatori, agli ambientalisti e a importanti rappresentanti delle Istituzioni a livello nazionale, regionale e locale. Migliaia di manifestanti hanno sfilato per Roma mostrando cartelli con slogan come “Con i soldi dello Stato si licenza in Italia e si assume in Romania”, e “con l’Imu gli italiani finanziano il pecorino rumeno”. 2215 comuni italiani hanno inoltre adottato delle delibere per chiedere di sostenere e difendere il marchio Made in Italy e di vietare per legge il finanziamento pubblico di prodotti di imitazione realizzati all’estero, alle quali si aggiungono le delibere adottate da 12 regioni, 26 province, 41 Camere di Commercio e 119 Comunità Montane. Nelle delibere si chiede escplicitamente “l’impegno, con particolare riferimento all’operato della finanziaria pubblica Simest che dipende dal Ministero dello Sviluppo Economico, ad intraprendere iniziative per impedire l’uso improprio di risorse pubbliche per la commercializzazione sui mercati esteri di prodotti di imitazione Italian sounding, a favore, invece, della promozione dell’autentico Made in Italy”. Le regioni che hanno deliberato al momento sono queste: Lombardia, Val d’Aosta, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Le province sono: Alessandria, Cuneo, Rovigo, Verona, Trento, La Spezia, Bologna, Modena, Arezzo, Grosseto, Siena, Ancona, Ascoli Piceno, Fermo, Pesaro Urbino, Latina, Chieti, L’Aquila, Pescara, Campobasso, Matera, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Enna e Palermo.
Alla fine è arrivato l’atteso intervento del Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera. Che ha inviato al presidente di Coldiretti Sergio Marini una lettera nella quale informa di aver emanato una specifica direttiva Simest che, sotto pena di revoca dell’agevolazione, vieta il sostegno ad iniziative che configurano il finanziamento dell’Italian Sounding. Questo il commento di Marini: “si tratta di un passo positivo che supera l’impasse e riconosce finalmente l’esistenza di un problema grave che era stato negato dall’ispezione governativa svolta congiuntamente dal Ministero delle Sviluppo Economico e delle politiche agricole, alimentari e forestali presso la Lactitalia, società partecipata dalla Simest, produttrice di formaggi in Romania. Nel resoconto dell’ispezione si legge infatti che ‘tutti i prodotti della Lactitalia, con nomi generici o di fantasia, anche in lingua italiana, risultano essere prodotti non ingannevoli in quanto recano in etichetta indicazioni chiare, precise ed evidenti sul luogo di produzione degli stessi’. Ci siamo dovuti trasformare in investigatori e andare a fare la spesa direttamente in Romania per verificare come stavano effettivamente le cose, ma ci chiediamo in quali altre occasioni ci sia stata una cattiva utilizzazione delle risorse pubbliche come questa senza che nessuno se ne occupasse o intervenisse. L’impegno del Governo e del Parlamento deve andare oltre la giusta direttiva e vietare per legge il finanziamento pubblico di prodotti realizzati all’estero che imitano il vero Made in Italy. Occorre avere la forza di distinguere la vera internazionalizzazione da quelle forme di delocalizzazione aggravate dall’uso improprio del ‘marchio Italia’ che danneggiano il Paese facendo perdere occupazione e svilendo il valore del Made in Italy, costruito con sacrifici da generazioni di imprenditori”.
(Luigi Torriani)
Scusi come faccio a ricostruire la vicenda del pecorino romano prodotto in romania e venduto con il marchio Galbani dalla Lactalis? Grazie
Salve,
può guardare qui:
http://www.universofood.net//index.php?option=com_content&view=article&id=582%3Afalso-pecorino-romano-lo-scandalo-della-multinazionale-lactalis&Itemid=50