La nuova Pac (Politica agricola comune), su cui a Bruxelles si sta lavorando da tempo in vista dell’approvazione definitiva prevista per il 2013, è sembrata fin da subito una mazzata pesantissima per l’agricoltura italiana. Poi a dicembre 2011 sono cominciati i negoziati e le trattative, con il primo Summit sulla riforma della Politica agricola comune convocato dal presidente della Coldiretti Sergio Marini a Roma alla presenza del Commissario Europeo all’agricoltura Dacian Ciolos. Proprio la Coldiretti in un comunicato stampa annuncia ora che la road map proseguirà senza sosta finché non si sarà trovato un accordo vantaggioso per l’Italia. C’è ancora circa un anno di tempo per provare a ottenere qualcosa.
Questo il comunicato stampa della Coldiretti diffuso in occasione del convegno di apertura della Fieragricola di Verona sulla riforma della Politica Agricola: “per scongiurare il taglio di 1,4 miliardi di euro all’agricoltura italiana e superare le troppe contraddizioni nella proposta di riforma della politica agricola (Pac) presentata dalla Commissione Europea, la Coldiretti è impegnata in una road map di incontri con i principali protagonisti del negoziato, che ha già portato nella nostra sede in Italia il presidente della Commissione Europea Dacian Ciolos, poi il Presidente della principale Organizzazione agricola francese (FNSEA) Xavier Beulin. Mentre ora incontreremo Peter Kendal, il presidente dell’NFU inglese. Dopo aver raggiunto l’obiettivo di una posizione comune a livello nazionale siamo impegnati nella ricerca di alleanze in Europa nella convinzione che la riforma della Politica agricola comune (Pac) deve rappresentare l’occasione per una forte legittimazione della spesa verso l’agricoltura risolvendo i problemi strutturali di volatilità dei prezzi e del ridotto potere negoziale lungo la filiera”.
Il primo problema che è sul tavolo è il taglio ai finanziamenti all’agricoltura italiana. Si parla di un -6,7%, che in concreto significa 250 milioni di euro annui in meno per la nostra agricoltura. Una cifra enorme che è ritenuta ingiusta ed eccessivamente penalizzante per l’Italia, dato che altri Paesi subiscono dei tagli decisamente più contenuti (soprattutto la Francia, che perde soltanto l’1,5% dei fondi comunitari).
Oltre al problema dei finanziamenti, quali sono le altre “contraddizioni” di cui parla la Coldiretti? I problemi sono i soliti, sul tavolo fin dall’inizio. E al momento – nonostante mesi di trattative serrate – sono rimasti sostanzialmente invariati. Le maggiori criticità sono due: la questione dei pagamenti alle imprese agricole; il Greening.
Il primo problema, in sintesi, è il seguente. Fino ad oggi i pagamenti alle singole imprese agricole non sono perfettamente proporzionali alla quantità di ettari coltivati. In Italia l’entità dei finanziamenti tiene conto della produttività e delle rese storiche di ogni singolo settore agricolo. Il che significa che a parità di superficie il finanziamento può variare anche notevolmente, da aiuti oltre i 2000 euro un ettaro coltivato a tabacco, ai 200 euro circa per un’intera area di pascolo di montagna. In base alla nuova Pac a partire dal 2014 ed entro il 2019 tutti gli Stati membri devono sostituire questo meccanismo con un nuovo sistema di pagamenti uniformi per ettaro. In pratica l’unico criterio diventa la superficie per ettari. A tot ettari di superficie corrisponde tot finanziamento, del tutto a prescindere dal tipo di superficie e dalla resa in termini di produttività. Questo può avvenire o a livello regionale e per aree omogenee (ad esempio: il pagamento per ettaro è lo stesso per tutta l Lombardia, o per tutta l’area padana, ecc.), oppure – peggio ancora – su scala nazionale (che significa spostare una valanga di risorse dalle aree più produttive del Nord Italia a zone poco produttive, latifondistiche, ad aggricoltura estensiva o in zona montana). Una soluzione criticatissima sulla quale è tornata Coldiretti in questi termini: “si tratta di una nuova forma di accoppiamento alla superficie che rappresenterebbe una nuova e incomprensibile rendita fondiaria. La proposta della Commissione non distingue la figura dell’agricoltore attivo per quello che fa e per come lo fa. Per Coldiretti e per l’intera filiera agricola italiana l’agricoltore attivo non può che essere solo quello professionale, cioè quello che lavora e vive di agricoltura e che sarebbe spinto all’abbandono dalla riduzione del sostegno. In ogni caso occorre lasciare gli stati membri liberi di adottare una definizione adeguata”.
L’altro problema è quello del Greening (‘rinverdimento’). In pratica sono rese obbligatorie per tutti gli agricoltori alcune pratiche ecologiche, e in particolare diversificare le coltivazioni per un minimo di tre colture, prevedere pascoli permanenti, dedicare il 7% del terreno a fini ecologici (anche con misure non direttamente produttive, come – per esempio – piantare alberi per contrastare l’erosione dei suoli). Chi non rispetta queste misure di sostenibilità ecologica perde il 30% dei finanziamenti e può incorrere in ulteriori sanzioni aggiuntive. Oltre ai problemi legati a un’eccessiva burocratizzazione e a pratiche considerate da molte imprese agricole troppo complicate e costose, Coldiretti mette l’accento su alcune bizzarrie presenti nel pacchetto del Greening così per come è stato formulato: “anche la proposta di destinare il 30% delle risorse al greening per favorire una maggiore cura dell’ambiente è in realtà da rivedere, perché esclude la maggior parte delle colture virtuose in termini sostenibilità del territorio e di cattura di CO2, ampiamente diffuse nell’agricoltura italiana come olivo, vite e alberi da frutta, che sono la base della dieta mediterranea. In pratica un olivicoltore italiano non prenderebbe i pagamenti ‘verdi’, mentre i prati della regina d’Inghilterra sì“.
(Luigi Torriani)