Da anni uno dei cavalli di battaglia della Coldiretti e delle varie associazioni dei consumatori è il problema delle etichette alimentari. Che è tra i problemi principali in materia di frodi e di sicurezza alimentare. Ora qualcosa si sta muovendo. Da un’indagine dell’Osservatorio Adi-Nestlé 2011 emerge una crescenta attenzione degli italiani nella lettura delle etichette alimenatari. E nel frattempo il Parlamento europeo pone un freno alla possibilità di etichettare gli alimenti in modo ambiguo e fuorviante.
Il problema delle frodi e della sicurezza alimentare è ben lungi dall’essere risolto. Specie in un Paese come l’Italia, dove le frodi alimentari sono all’ordine del giorno, dove le agromafie hanno un giro d’affari da 12,5 miliardi di euro, dove vendono funghi cinesi spacciati per italiani, pesce made in Italy in realtà cinese e scaduto, olio ammuffito presentato come extravergine, olio “italiano” prodotto con olive straniere, mozzarella italiana da latte di importazione (di pessima qualità, e non a caso è saltata fuori l’emergenza delle mozzarelle blu). Un Paese dove molti marchi sono italiani ma la proprietà straniera, dove nel 2011 sono state sequestrate 700.000 tonnellate di falsi prodotti biologici, e dove si sta pensando di introdurre nella lotta alla contraffazione alimentare gli stessi metodi di indagine utilizzati nel contrasto ai reati di mafia. In molti casi si tratta di vere e proprie frodi, che il consumatore non è in grado di smascherare. In altri casi il raggiro fa leva sulla possibilità di etichettare gli alimenti in modo poco chiaro e ambiguo (per leggere la provenienza delle olive di certi oli bisognerebbe girare per negozi con la lente d’ingrandimento, senza contare i classici casi di italian sounding e di utilizzo in etichetta di enormi tricolori e simboli italiani accompagnati da minuscole diciture sulla provenienza straniera del prodotto).
Qualcosa, tuttavia, sta cominiando a cambiare. Anzitutto al livello dell’atteggiamento del consumatore italiano nei confronti delle etichette alimentari. I dati emersi dall’Osservatorio Adi-Nestlé 2011 incoraggiano a un certo ottimismo. I dati sono stati diffusi a Milano il 28 gennaio in occasione dell’incontro “Etichet-ti-amo”, il 1° appuntamento organizzato da Nestlé nell’ambito del nuovo progetto Food Coaching, progetto di assistenza e consulenza al cittadino in materia di acquisti alimentari con l’ausilio delle associazioni dei consumatori e di esperti di dietetica e di nutrizione. Dall’indagine è emerso prima di tutto che soltanto il 4% degli italiani dichiara di non leggere mai, nemmeno in modo occasionale, le etichette alimentari. Ma a cosa prestano attenzione i consumatori italiani nella lettura dell’etichetta?
Al primo posto ovviamente la data di scadenza, che è l’informazione prioritaria per l’88% degli intervistati. Dato che non stupisce e che conferma quanto già era emerso dall’indagine Coldiretti/Swg su Gli italiani e l’alimentazione nel tempo della crisi (d’altronde in Inghilterra, per fronteggiare la crisi e ridurre gli sprechi, hanno addirittura prolungato la data di scadenza degli alimenti…). Al secondo posto per importanza sta la lista degli ingredienti, che il 73% degli italiani consulta in etichetta prima di decidere per l’acquisto del prodotto. Il 68% dei consumatori controlla in particolare che non ci siano coloranti. Seguono i grassi idrogeati (che preoccupano il 67% degli italiani), i conservanti (58%) e l’aspartame (43%). Un ultimo aspetto riguarda il sesso dei consumatori più attenti alla lettura delle etichette. Dalla ricerca Adi-Nestlé emerge che sono soprattutto le donne (88%) a studiare le etichette prima dell’acquisto, e gli uomini che lo fanno sono nella gran parte dei casi degli over 45. Questo il commento di Tommaso Pronunzio del Centro Ricerche Ales Market Research: “i dati dell’Osservatorio Adi-Nestlé indicano le donne come le più predisposte ad un acquisto consapevole, molto attente sopratutto alla lettura del valore energetico e della tabella nutrizionale, a dimostrazione del fatto che, mediamente, hanno maggiore cura di sé nelle scelte alimentari”.
Nel frattempo arrivano buone notizie dal Parlamento europeo. Che il 2 febbraio ha approvato una risoluzione ad ampia maggioranza (393 voti a favore, 161 contrari e 21 astensioni) contro le indicazioni fuorvianti nelle etichette dei prodotti alimentari. In particolare viena bocciata la dicitura: “Contiene una percentuale di… (calorie, grassi, grassi saturi, sodio, sale, zuccheri) in meno“, che è fuorviante e ingannevole per il consumatore perché non prende in considerazione gli alimenti della stessa categoria, ma solo la versione precedente dello stesso prodotto. Spiega l’eurodeputato Andrea Zanoni (Idv), tra i firmatari con altri 11 colleghi di diverse nazionalità della risoluzione approvata dal Parlamento Europeo: “”Si tratta di un’etichetta ambigua e fuorviante che non avrebbe fatto altro che indurre il consumatore in errore”. Sarebbe potuto accadere che un prodotto con pochissimo sale non sarebbe stato autorizzato a mettere questa etichetta, mentre un prodotto con molto sale avrebbe potuto metterla a seguito di una mera riduzione del 15%”. Questo il commento di Tina Napoli, coordinatrice di Cittadinanzattiva: “l’etichetta è il mezzo col quale l’azienda deve trasferire al consumatore tutte le informazioni che gli consentono di fare una scelta consapevole. Di conseguenza rappresenta un tassello di verifica tra le attese e i dubbi del consumatore e i doveri delle aziende in uno spazio molto limitato. È dunque una duplice sfida: da una parte quella delle aziende che devono assicurare completezza di informazioni nel modo più chiaro possibile, dall’altra quella del consumatore che deve andare oltre la lettura della data di scadenza e usufrire di ulteriori canali di informazione per approfondire le indicazioni offerte dalle etichette”.
(Luigi Torriani)