Resta il marchio italiano ma la proprietà non è più italiana. E i grandi marchi del Made in Italy agroalimentare vengono ceduti all’estero. Una tendenza che è iniziata negli anni ’80 e che ha avuto un’escalation tra il 2011 e l’inizio del 2012. La Coldiretti lancia l’allarme: nell’ultimo anno sono passati in mani straniere marchi storici dell’agroalimentare italiano per un fatturato di oltre 5 miliardi di euro. Uno dei segnali più eclatanti della crisi che stiamo vivendo.
È noto che in Italia uno dei massimi problemi dell’agroalimentare è il falso Made in Italy, dalle mozzarelle spacciate per italiane ma prodotte con latte straniero al falso olio italiano. Ma il problema è anche un altro: senza quasi rendercene conto stiamo perdendo di anno in anno quasi tutti i grandi marchi italiani. Tutto è iniziato alla fine degli anni Ottanta. È il 1988 quando la svizzera Nestlé compra due marchi storici dell’agroalimentare italiano: la Buitoni (pasta, prodotti da forno, alimenti per l’infanzia) e la Perugina (cioccolato, dolci), entrambe della famiglia Buitoni e poi per un breve periodo della CIR di De Benedetti. Nel 1993 sempre la Nestlé compra i marchi Italgel, tra cui Antica Gelateria del Corso. Nel 1998 ancora la Nestlé compra Sanpellegrino (acqua minerale, bevande) e Locatelli (formaggio), marchio – quest’ultimo – che viene poi ceduto alla francese Lactalis. Nel 2003 sempre la Lactalis acquisisce il marchio Invernizzi (formaggi), che era peraltro già stato venduto a Kraft nel 1985. Il 2003 è anche l’anno in cui l’Italia perde le storiche birre Peroni, vendute all’azienda sudafricana SABMiller. Nel 2005 il marchio Fattorie Scaldasole (già venduto a Heinz nel 1995) finisce alla francese Andros, mentre il gruppo spagnolo SOS acquisisce l’olio Sasso. Sempre SOS nel 2006 acquista l’olio Carapelli, e nel frattempo perdiamo anche la Galbani, che finisce nelle mani della Lactalis. Nel 2008, infine, il Made in Italy perde un altro olio, il Bertolli, venduto a Unilever e poi passato a SOS.
Il 2011 e l’inizio del 2012 segnano un ulteriore accentuarsi della tendenza. Il 2011 è l’anno in cui la Lactalis acquisisce ufficialmente la Parmalat, ed è anche l’anno in cui perdiamo lo storico marchio di spumanti Gancia (2.000 ettari di vigneti, 5 milioni di chili di uve direttamente vinificate, 25 milioni di bottiglie all’anno), comprato a dicembre dall’oligarca russo Roustam Tariko, già proprietario della vokda Russki Standard. La Russian Standard Corporation, precidamente, ha acquisito il 70% di Gancia, e il nuovo azionista di maggioranza Roustam Tariko si è così presentato: “il nostro è un investimento strategico di lungo periodo che ci garantirà l’opportunità unica di diventare una delle società dominanti nel settore del beverage a livello mondiale. Abbiamo le dimensioni, le infrastrutture, l’esperienza e le risorse finanziarie tali da trasformare la Gancia nel marchio leader sia in Russia sia a livello globale, attraverso un rafforzamento del brand e un investimento nel personale e nei dirigenti”. Quel che è certo è che lo spumante italiano, nonostante la crisi, era ed è in continua crescita, e che la Russia è (era) uno dei migliori mercati per l’export, con un aumento record del 41% nelle esportazioni di bottiglie di spumante nel 2011 (quarto posto posto assoluto tra i maggiori consumatori delle bollicine italiane, dopo Germania, Stati Uniti e Regno Unito). E mentre gli Stati Uniti riconoscono una tutela legale al Prosecco italiano, nel frattempo noi perdiamo la Gancia.
Pessimo anche l’inizio del 2012, segnato dalla perdita di una altro marchio storico dell’agroalimentare italiano, Ar pelati di Antonino Russo, che passa (per il 51% del pacchetto azionario) nelle mani della società Princes, controllata dalla giapponese Mitsubishi. Parliamo del maggiore produttore di pomodori pelati in Italia, un’azienda leader mondiale per la trasformazione e inscatolamento del pomodoro, che ha un fatturato di circa 300 milioni di euro e che solo nel 2009 aveva inaugurato (in Puglia, a Borgo Incoronata) il più grande impianto europeo di trasformazione del pomodoro.
È in questo contesto che il presidente della Coldiretti Sergio Marini ha lanciato l’allarme,in occasione dell’inaugurazione della Fieragricola di Verona (dove al padiglione 3 stand C2 è anche stato allestito uno “scaffale del Made in Italy che non c’è più”). Queste le parole di Sergio Marini, diffuse dalla Coldiretti con un comunicato stampa: “sono passati in mani straniere marchi storici dell’agroalimentare italiano per un fatturato di oltre 5 miliardi di euro nell’ultimo anno, anche per effetto della crisi che ha reso più facili le operazioni di acquisizione nel nostro Paese. Ad essere presi di mira sono sopratutto i prodotti simbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, dall’olio al vino fino alle conserve di pomodoro. Nello spazio di dodici mesi sono stati ceduti all’estero tre pezzi importanti del Made in Italy alimentare, che sta diventando un’appetibile terra di conquista per gli stranieri. La tutela dei marchi nazionali è ormai diventata una priorità per il Paese, da attuare anche con una apposita task force. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati a vendere direttamente marchi storici. Il prossimo passo rischia di essere la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero“.
Luigi Torriani)
Opero nella settore oleario, secondo la mia opinione dobbiamo ringraziare queste aziende che ci comprano , ritengo che gran colpa è della ns. politichesi, dove solo con questi colossi , trova muso duro, e non si fanno disturbare, a differenza dei piccoli.