La Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale ha presentato le sue prime proposte a Palazzo Rospigliosi a Roma, alla presenza del Ministro per le Politiche Agricole Mario Catania, del Procuratore Antimafia Pietro Grasso e del Presidente della Coldiretti Sergio Marini. La Coldiretti esprime soddisfazione per il lavoro svolto e rilancia:la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un’area di intervento prioritaria tanto quanto il contrasto all’evasione fiscale“. Fulcro del nuovo indirizzo legislativo: trattare la contraffazione alimentare con gli stessi metodi utilizzati abitualmente contro i reati di mafia. Con implicazioni positive per le imprese agricole, per i consumatori, per l’export e per l’occupazione.
Introdurre nella lotta alla contraffazione alimentare gli stessi metodi di indagine utilizzati nel contrasto ai reati di mafia. È questa l’architrave delle proposte formulate nella prima relazione sulla contraffazione e pirateria nell’agroalimentare stilata dalla apposita Commissione Parlamentare di inchiesta presieduta dall’onorevole Giovanni Fava (Lega Nord) e presentata nella sede della Coldiretti. Il che significa innanzitutto inserire nel codice penale il delitto di associazione a delinquere finalizzato alla commissione del reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. Per chi commette questo reato dovrebbe poi essere prevista l’interdizione dall’esercizio delle attività d’impresa, escludendo la possibilità di ulteriori iniziative economiche nell’ambito del settore alimentare. Inoltre, per esigenze di trasparenza e di conoscibilità per i consumatori dei comportamenti delittuosi, viene previsto l’obbligo di pubblicare le sentenze in caso di condanna in materia di frodi e di false indicazioni di origine. Infine, e soprattutto, si afferma la necessità di dotare gli organismi di polizia giudiziaria di poteri investigativi già previsti nella disciplina antimafia (ad esempio la capacità di condurre operazioni sotto copertura) anche per il contrasto dei reati di frode alimentare. E si ritiene opportuno aggredire il patrimonio dei rei di contraffazione e adulterazione confiscandone i beni usati per commettere i reati.
Il settore alimentare è ormai tra i business di punta delle mafie italiane, con il volume d’affari delle agromafie che ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro, il 5,6% dell’intero business criminale in Italia (dati Coldiretti/Eurispes). Una situazione che danneggia pesantemente sia le imprese agricole sia i consumatori. I primi effetti di un mercato viziato da pratiche estorsive e da speculazioni criminali sono infatti il crollo dei prezzi pagati all’origine agli imprenditori agricoli (che in molti casi non arrivano a coprire i costi di produzione), e il ricarico anomalo e eccessivo dei prezzi al consumo. Caso eclatante è quello della frutta, con i prezzi che triplicano dal campo alla tavola non solo per la politica aggressiva della Gdo ma anche – spiega Coldiretti – “per effetto delle infiltrazioni della malavita nell’attività di trasporto messe spesso in luce nell’attività investigativa”. Inoltre i prodotti contraffatti (spesso realizzati con materie prime di importazione di bassissima qualità) pongono anche un evidente problema di qualità e sicurezza alimentare.
Oltre alla tutela delle imprese agricole oneste e dei consumatori, altro obiettivo del nuovo indirizzo di contrasto della pirateria agroalimentare è migliorare la situazione dell’export combattendo – in attesa della nuova legislazione europea – il fenomeno dell’Italian sounding. Spiega Coldiretti: “le esportazioni agroalimentari potrebbero addirittura triplicare con una radicale azione di contrasto al falso Made in Italy. Per giungere ad un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, ad importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5% dell’attuale volume d’affari del cosiddetto ‘Italian sounding’. Ad essere colpiti sono i prodotti più rappresentativi dell’identità alimentare. Se sul piano nazionale le recenti operazioni hanno scoperto falsa mozzarella di bufala dop, ma anche vino ed olio etichettati come doc e dop senza documenti di tracciabilità, a livello internazionale sono state scovate vere e proprie aberrazioni, dai pomodori San Marzano coltivati in Usa al ‘Parma salami’ del Messico, dal Parmesao del Brasile allo Spicy thai pesto statunitense, dall’olio Romulo con tanto di lupa venduto in Spagna al Chianti prodotto in California, ma anche una curiosa ‘mortadela siciliana’ dal Brasile, un ‘salami calabrese’ prodotto in Canada, un barbera bianco rumeno e il provolone del Wisconsin. Il comune denominatore degli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari italiani è la spinta motivazionale da cui tali comportamenti traggono origine e si diffondono a livello globale. Tale spinta motivazionale consiste nell’opportunità, per un’azienda estera, di ottenere sul proprio mercato di riferimento un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, associando indebitamente ai propri prodotti valori riconosciuti ed apprezzati dai consumatori stranieri, come quelli del vero Made in Italy agroalimentare, in primis la qualità. Una concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali con il rischio che, soprattutto nei Paesi emergenti come la Cina, si radichi tra i consumatori un falso Made in Italy che non ha nulla a che fare con il prodotto originale e che toglie invece spazio di mercato ai prodotti autentici”.
Infine l’aspetto dell’occupazione. L’estensione della battaglia contro le contraffazioni agroalimentari offre anche la possibilità di offrire nuovi posti di lavoro. Spiega Coldiretti: “dopo il contrasto all’evasione fiscale prende il via la lotta alla contraffazione dalla quale possono venire fino a trecentomila nuovi posti di lavoro. Il fatturato del falso Made in Italy solo nell’agroalimentare ha raggiunto i 60 miliardi di euro, e per effetto della falsificazione vengono sottratti all’agroalimentare nazionale ben 164 milioni di euro al giorno, il che dimostra che la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un’area di intervento prioritaria tanto quanto il contrasto all’evasione fiscale, per recuperare risorse economiche utili al Paese e per generare occupazione. La lotta alla contraffazione alimentare è considerata prioritaria dalla maggioranza dei cittadini anche rispetto ad altri settori come il tessile: le frodi a tavola sono le più temute da sei italiani su dieci, secondo una recente indagine di Coldiretti/Swg. E ai rischi per la salute si sommano i danni di immagine provocati al Made in Italy che nell’alimentare è il più copiato a livello internazionale per i grandi risultati raggiunti sul piano della qualità”.
(Luigi Torriani)