L’Iva colpisce ancora. Dopo la stangata sulle bevande alcoliche e sui tartufi con la Super Iva al 21%, ora è la volta del comparto ittico. Per la prima volta i pescatori – già tartassati dal caro carburanti che sta colpendo tutto il comparto agroalimentare – si trovano a dover pagare l’Iva sul gasolio (al 10%). Intanto la contabilità dello Stato si riprende pure i fondi stanziati da Zaia per affrontare la crisi del settore.
Di certo – per usare un eufemismo – non è un gran momento per la pesca italiana, colpita negli ultimi tempi dal crescente inquinamento del Mediterraneo, dal crollo della pescosità dell’Adriatico con conseguenti normative sul fermo pesca a partire dalla bozza Tremonti in poi, e da un’escalation di frodi e di importazione selvaggia di pesce che si sta cercando di contrastare con il marchio Solo Pesce Italiano.
È in questo contesto – già di per sè drammatico – che si inserisce l’introduzione dell’Iva per il gasolio dei pescherecci. Da ieri – 17 gennaio – con l’entrata in vigore della Legge comunitaria 2010 è scattato anche per la pesca costiera il regime Iva del 10% applicato al carburante. La legge 15 dicembre 2011, n. 217 (“Comunitaria 2010”), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 2 gennaio 2012, prevede infatti (articolo 8) che tutta la pesca costiera debba aggiungere l’Iva al prezzo industriale del carburante (Iva poi ovviamente recuperabile su quella riscossa dalla vendita del prodotto ittico). L’applicazione dell’Iva sul carburante discende da una norma che toglie, per le imbarcazioni adibite alla pesca costiera, le provviste di bordo (compreso appunto il carburante) dalla non imponibilità Iva (restano invece non imponibili le cessioni di navi adibite alla navigazione in alto mare e destinate all’esercizio della pesca o di attività commerciali, e le cessioni di navi adibite alla pesca costiera o a operazioni di salvataggio, di assistenza in mare e di demolizione, escluse le unità da diporto). Per la prima volta nella storia i pescatori italiani devono pagare l’Iva sul gasolio usato per le imbarcazioni.
Per Federcoopesca-Confcooperative si tratta di una “decisione storica che arriva in un momento delicatissimo per l’economia ittica, che negli ultimi due anni ha visto aumentare il costo del gasolio del 30%, al punto che i costi per il carburante arrivano ormai in molti casi a superare del 70% i costi generali di gestione di un peschereccio”. La spesa media annua per un’imbarcazione destinata alla pesca a strascico – secondo i dati di Federcoopesca-Confcooperative – si aggira intorno ai 9.000 euro per 180 giornate di lavoro e 12 ore di attività giornaliera. Per un peschereccio a strascico di grandi dimensioni che lavora 180 giorni all’anno con una media di 12 ore al giorno le uscite in più per il carburante sono attorno ai 30.000 euro l’anno, con il prezzo del gasolio che è passato dai 0,53137 €/kg di gennaio 2010, ai 0,68378 €/kg di gennaio 2011 fino ai 0,75890 €/kg di dicembre 2011. Spiega Federcoopesca: “chi oggi esce in mare lo fa affrontando da subito un costo maggiore senza sapere se e quanto riuscirà a pescare. I pescatori, poi, riescono a incidere ancora poco sul prezzo di vendita del prodotto. Se rincari ci saranno a beneficiarne, saranno solo altri attori della filiera”. Il che significa che saranno i pescatori e i consumatori – e come sempre non la Gdo – a pagare il prezzo delle nuove normative, che porteranno quasi certamente a un aumento del prezzo finale del pesce.
Inoltre sono andati persi i fondi stanziati nel 2008 dall’allora ministro Luca Zaia per fronteggiare la prima fase della crisi del caro gasolio. Su un totale di 30 milioni erano rimasti 13 milioni ancora da impegnare, ma sono stati riacquisiti dalla contabilità pubblica. Questo il commento del direttore generale di Federcoopesca Gilberto Ferrari: “si registra un aumento dei costi del gasolio senza precedenti e l’introduzione dell’Iva per la prima volta nella storia della pesca. A questo si aggiunge il taglio dei fondi residui di Zaia di tre anni fa in nome dell’esigenza di contenimento del bilancio dello Stato. Il tributo che il mondo della pesca ha dato per difendere i fondi pubblici è altissimo. Tra le risorse tagliate e l’aumento della pressione fiscale e contributiva il comparto ha rinunciato a una cifra che si aggira intorno ai 50 milioni di euro. Non ci resta che confidare nell’azione del ministro Catania per attenuare una situazione che rischia di divenire veramente insostenibile”.
(Luigi Torriani)