La FAO (Food and Agriculture Organization) ha reso noto in questi giorni il rapporto “World Livestock 2011: Livestock in food security“, (La Zootecnia nel Mondo 2011). Una panoramica a livello mondiale sull’allevamento e sul consumo di carni. Due i punti essenziali: il consumo di carne è in continuo aumento (con l’aumento della popolazione) e – nonostante i gruppi di pressione animalisti – non si vedono all’orizzonte alternative praticabili rispetto all’allevamento intensivo su larga scala; permane e non accenna a diminuire la forbice tra Paesi sviluppati e Paesi del Terzo Mondo.
Da anni un crescente movimento di opinione guidato da intellettuali come Jonathan Safran Foer (autore del best seller “Se niente importa”, editore Guanda) e Peter Singer (l’autore dello storico “Liberazione animale”, di “Etica pratica”, “Ripensare la vita”, “Come mangiamo”) porta avanti una battaglia contro gli allevamenti intensivi, considerati inaccettabili sia per le sofferenze patite dagli animali sia per l’impatto ambientale, soprattutto in termini di emissione di gas serra, di inquinamento delle falde acquifere, e di spreco di acqua e cibo. La FAO riconosce l’importanza della battaglia per ridurre il livello di inquinamento prodotto dagli scarti e dai gas serra. E accanto a questa necessità, ne pone altre due: ridurre la quantità di acqua e cereali utilizzata negli allevamenti, e riciclare i sotto-prodotti agro-industriali tra le popolazioni di bestiame.
Nel rapporto FAO resta tuttavia un punto fermo: “allo stato attuale non esistono alternative tecnicamente o economicamente fattibili alla produzione intensiva per realizzare l’offerta di prodotti alimentari zootecnici necessaria a soddisfare i bisogni delle città in espansione”. Per soddisfare la domanda crescente di una popolazione mondiale in costante aumento la FAO prevede che entro il 2050 la quantità di carne consumata salirà del 73% rispetto alla dose attuale. Numeri assolutamente incompatibili con il sogno di eliminare le forme di allevamento intensivo su larga scala. A meno di immaginare una futura traducibilità commerciale degli studi sulla produzione di carne artificiale che sono in corso in Olanda. Al di là di quest’ultima ipotesi – che al momento appare quasi fantascientifica – la doppia sfida posta dal rapporto della FAO è di mantenere un livello di produzione di carne sufficiente (quindi crescente, essendo crescente la popolazione) e al tempo stesso di ridurre il logorio all’ecosistema e l’impatto ambientale dei grandi allevamenti intensivi. Come realizzare questo duplice obiettivo è allo stato attuale tutt’altro che chiaro.
L’altro problema di fondo posto dalla FAO riguarda il permanere di una sproporzione impressionante tra Paesi sviluppati e Paesi del Terzo Mondo. Il consumo medio di proteine animali in Africa è meno di un quarto di quello medio nelle Americhe, in Europa e in Oceania, ed è pari al 17% del livello raccomandato di consumo di proteine in generale (con evidenti danni per la salute). Mentre nell’Occidente industrializzato il consumo di proteine animali è da anni tra il 78% e il 98% del fabbisogno proteico totale, numeri che indicano un sovra-consumo (anch’esso dannoso per la salute) di prodotti zootecnici. Nei Paesi sviluppati si produce solo il 20,3% delle calorie consumate a livello mondiale e se ne consuma il 47,8% della quantità totale.
(Luigi Torriani)