La Nuova Pac (Politica agricola comune) in corso di approvazione a Bruxelles penalizza fortemente l’Italia, che perde oltre il 6% degli aiuti. Ora è il momento della diplomazia e delle trattative. Il presidente della Coldiretti Sergio Marini ha convocato a Roma il primo Summit sulla riforma della Politica agricola. Presenti il Commissario Europeo all’agricoltura Dacian Ciolos, il Ministro delle Politiche Mario Catania, il presidente della Commisssione agricoltura del Parlamento Europeo Paolo De Castro e il relatore sul regolamento orizzontale della proposta di riforma della Pac Giovanni La Via.
La proposta di riforma della politica agricola comune presentata dall’esecutivo di Bruxelles ( e in attesa di completamento e di attuazione entro il 2013) taglia le risorse destinate all’agricoltura italiana di 1,4 miliardi di euro per il periodo dal 2014 al 2020. Totale annuo a regime pari a circa 250 milioni di euro in meno (-6%, secondo l’analisi della Coldiretti). Un taglio che è motivato dalla crisi ma anche dall’estensione degli aiuti dai vecchi 15 Stati membri agli odierni 27 partner europei. Il problema è che altri Paesi hanno subito ben altro trattamento, in particolare la Francia, che avrà tagli limitati all’1,5%.
Proprio il confronto con la Francia è al centro della strategia diplomatica italiana in questo momento. Al Summit romano sulla riforma della Pac la Coldiretti ha fatto notare al Commissario Dacias Ciolos che l’Italia è in questo momento il primo Paese agricolo dell’Ue. E ha snocciolato una serie di dati. L’Italia ha superato la Francia in valore aggiunto agricolo prodotto nel 2011 (con un trend in aumento dell’11% nel primo semestre dell’anno) e ha conquistato il primato europeo, il tutto nonostante una superficie coltivata che è pari alla metà di quella francese. Gli agricoltori italiani fanno quindi rendere i terreni molto più dei partner europei. Precisamente: il valore aggiunto per ettaro di terreno, ovvero la ricchezza netta prodotta per unità di superficie dall’agricoltura italiana, è oltre il triplo di quella inglese, doppia di quella francese, tedesca e spagnola. E il numero di occupati per ettaro di terreno in Italia è quasi il triplo di quelli di Francia, Spagna e Germania. Inoltre: l’Italia sulle tavole mondiali ha vinto la sfida del vino rispetto alla Francia, con un aumento record del 24% nell’export di spumante italiano, che ha superato lo champagne. Il vino italiano nel 2011 è stato il più bevuto nel mondo. Il 2011 è un anno storico anche per la vittoria dell’Italia sulla Francia nel derby del formaggio, con le esportazioni di formaggi Made in Italy in Francia che sono aumentate del 12% mentre le esportazioni di formaggi francesi in Italia si sono ridotte del 3% (dati Istat per i primi sette mesi del 2011). Per la prima volta i consumi di formaggi italiani in Francia hanno superato i consumi di formaggi francesi in Italia. Inoltre l’Italia è leader europeo nella produzione biologica (oltre 50.000 imprese, circa un terzo delle imprese biologiche europee) e per i prodotti tipici (233 prodotti a denominazione o indicazione di origine protetta riconosciuti dall’Unione Europea ), è meta di un flusso turistico da record negli 871 parchi e aree protette italiane (che coprono il 10% del territorio nazionale), e conta su 20.000 aziende agricole e agriturismi (primato europeo). L’Italia è leader europeo per il turismo enogastronomico (movimento annuo di circa 5 milioni di persone), e le produzioni agricole italiane detengono il primato sul piano della sanità e della sicurezza alimentare (record del 99% di campioni di frutta, verdura, vino e olio regolari, con residui chimici al di sotto dei limiti di legge).
Questi risultati – secondo Coldiretti – “legittimano l’Italia a svolgere un ruolo di leadership nel difficile negoziato europeo che dovrà decidere sul futuro modello di agricoltura in Europa”. Al momento, tuttavia, l’Italia è uno dei Paesi più penalizzati dalla nuova Pac. Ed è un Paese che già versa all’Unione piu’ di quanto riceve (versa il 14% del bilancio comunitario e riceve appena il 10%). A questo proposito il ministro delle Politiche agricole Mario Catania ha così commentato: “è uno scarto enorme che non ha giustificazioni: sono 5 miliardi l’anno che diamo ad altri Paesi che magari hanno un Pil pro capite più alto”. Il primo scopo delle trattative è ovviamente quello di ottenere un ridimensionamento dei tagli all’agricoltura italiana. Ma non solo.
Un altro aspetto problematico è legato alla questione dei pagamenti uniformi in base al solo criterio della superficie per ettari. Oggi i finaziamenti alle imprese agricole non sono esattamente proporzionali alla quantità di ettari coltivati. In Italia, in particolare, l’entità dei finanziamenti tiene conto anche della produttività e delle rese storiche di ogni singolo settore dell’agricoltura e dell’allevamento (per cui a parità di superficie il finanziamento può essere anche molto diverso: ad esempio un ettaro coltivato a tabacco usufruisce di aiuti oltre i 2000 euro, mentre un’intera area di pascolo di montagna supera di poco i 200 euro). In base alla nuova Pac a partire dal 2014 ed entro il 2019 tutti gli Stati membri saranno obbligati a sostituire questo meccanismo con un nuovo sistema di pagamenti uniformi per ettaro (tutte le superfici agricole avranno diritto a un uguale pagamento di base, su livello nazionale oppure a livello regionale e per aree omogenee). Per Coldiretti si tratta di una proposta “iniqua” che “premia chi ha tanta terra e non ci fa niente” e che favorisce “nuove rendite fondiarie”. In sostanza: di una “nuova forma di accoppiamento alla superficie che rappresenterebbe una nuova ed incomprensibile rendita fondiaria. L’’agricoltore attivo non può, invece, che essere quello professionale, cioè quello che lavora e vive di agricoltura ”. Dacias Ciolos ha ridimensionato le critiche ma ha comunque assicurato che l’Unione Europea non darà soldi ad “agricoltori da salotto”: “Restano alcune falle nel sistema corrente”, ha spiegato Ciolos, “che hanno portato un numero limitato di casi molto pubblicizzati di agricoltori da sofà, speculatori, aeroporti o campi da golf a beneficiare delle risorse della Politica agricola europea (Pac). Di conseguenza stiamo cercando una definizione più stringente nella riforma che escluderà gli agricoltori non attivi. La nostra proposta mira a escludere grandi società che hanno piccoli interessi in agricoltura, ma stiamo anche dando una certa flessibilità agli stati membri di escludere quelli che hanno terra ma non ci fanno nulla”.
Infine c’è la questione del Greening, che sarà applicato al 30% dei sostegni agli agricoltori (diventano cioè obbligatorie alcune pratiche ambientali ed ecologiche, e in particolare diversificare le coltivazioni per un minimo di tre colture, prevedere pascoli permanenti, dedicare il 7% del terreno a fini ecologici, anche con misure non direttamente produttive, come – per esempio – piantare alberi per contrastare l’erosione dei suoli; chi non rispetta queste misure di sostenibilità ecologica perde il 30% dei finanziamenti e può incorrere in ulteriori sanzioni aggiuntive). Per l’onorevole De Castro, Presidente della commissione agricoltura del Parlamento europeo, c’è “preoccupazione sul peso della burocrazia per un “greening” troppo complicato (oltre che per la flessibilità di applicazione della Pac su territori abituati magari ad aiuti elevati, anche perché l’Italia non ha ancora attuato la regionalizzazione).” Secondo il presidente della Coldiretti Sergio Marini “la proposta di destinare risorse al greening (rinverdimento) per favorire una maggiore cura dell’ambiente, così per come è formulata è da rivedere, perché esclude la maggior parte delle colture virtuose in termini di sostenibilità del territorio e di cattura di CO2. Colture ampiamente diffuse nell’agricoltura italiana come olivo, vite e alberi da frutta, che sono la base della dieta mediterranea. In pratica un olivicoltore italiano non prenderebbe i pagamenti ‘verdi’, mentre i prati della regina d’Inghilterra sì”. Una considerazione sulla quale – precisa Coldiretti – “il Commissario Ue si è dimostrato sensibile”. Secondo l’onorevole La Via, in generale, si tratta di “una riforma poco coraggiosa. E servono una maggior delega agli Stati e una flessibilità di applicazione”.
(Luigi Torriani)