Con un blitz alle porte di Roma i pastori iscritti alla Coldiretti hanno protestato contro una situazione che è ormai diventata insostenibile. Il latte di pecora ha ormai una quotazione all’origine che è inferiore ai costi di allevamento. E non si tratta di un fatto isolato. Il problema è più generale: l’aumento esponenziale – nel settore agroalimentare – del divario tra il prezzo pagato al produttore e il prezzo finale al consumatore.
L’estate scorsa è stata la volta del settore ortofrutticolo, con la Coldiretti infuriata contro i ricarichi pazzeschi della Gdo e con la singolare iniziativa di alcuni produttori di regalare frutta e verdura nelle maggiori città italiane. Nel 2011 le pesche e le nettarine sono state pagate al produttore la metà di quanto fruttavano allo stesso dieci anni fa. Oggi un chilo di nettarine viene pagato all’agricoltore 34 centesimi, viene smerciato dal grossista a 71 centesimi, e infine finisce sui banchi dei supermercati a una media nazionale di 1,95 euro. Il problema è che l’agricoltore, per produrre e raccogliere un chilo di nettarine, paga in media 45 centesimi di euro. Per cui vende i suoi prodotti assolutamente sottocosto, con quotazioni ormai crollate al di sotto dei costi di produzione. Vende cioè a 34 centesimi quello che produce al prezzo di 45 centesimi. Ragion per cui ci sono stati degli agricoltori che la scorsa estate hanno preferito evitare del tutto la raccolta dei frutti. E anche dove le cose vanno lievemente meglio la situazione è comunque allucinante. Secondo i dati della Coldiretti, per esempio, un agricoltore deve vendere dieci chili di cocomeri per potersi pagare un caffé al bar.
Analoga è la situazione dei pastori italiani, che producono e vendono il latte di pecora, materia prima di uno dei più importanti formaggi italiani, il pecorino. Mentre aumentano i costi di produzione, le quotazione del latte restano invariate da oltre quattro anni. Per cui si è arrivati a una situazione di questo genere: gli industriali pagano in media ai pastori 65-70 centesimi per un litro di latte, i pastori producono quello stesso litro di latte a un costo di circa 85 centesimi. Cioè vendono sottocosto e a un certo punto, inevitabilmente, chiudono. Non a caso negli ultimi dieci anni è scomparso in Italia un terzo dei greggi di pecore.
Gli allevatori sopravvissuti si sono dati appuntamento il 14 novembre con un blitz organizzato a Roma dalla Coldiretti davanti al caseificio Brunelli di Aprilia. La scelta non è casuale, sia per la scelta della capitale sia perché il Lazio – insieme a Sardegna e Sicilia – è la più importante regione italiana per il settore ovino, con oltre 600.000 pecore. Gli allevatori hanno portato una decina di pecore e molti trattori intasando il traffico sulla Pontina.
Ora è il momento delle trattative, con l’obiettivo non più procrastinabile di raggiungere l’aumento del prezzo alla produzione. Coldiretti parla di “una situazione insostenibile che rischia di decimare gli allevamenti sopravvissuti, che svolgono un ruolo insostituibile per l’economia, il turismo, l’ambiente e la stabilità sociale del territorio”. “L’obiettivo”, spiega Coldiretti, “è quello di evitare l’estinzione delle pecore in Italia, ma anche quello di difendere i formaggi made in Italy a partire dal pecorino romano. I pastori della Coldiretti chiedono un adeguamento del prezzo per far restare attive le aziende, il pagamento in base alla qualità, l’attivazione del piano nazionale ovicaprino e l’anagrafe nazionale. In Italia sono presenti 70.000 allevamenti di pecore dai quali si ottengono oltre 60 milioni di chili di pecorini, di cui oltre la metà a denominazione di origine”. Il paradosso è che nel frattempo i prezzi al consumatore non diminuiscono affatto. Il problema è tutto interno alla filiera agroalimentare ed è interamente legato allo strapotere della grande distribuzione nei confronti di agricoltori e allevatori. Nel 2011 il settore ortofrutticolo ha anzi vissuto una situazione paradossale, con le quotazioni all’origine scese anche del 30% rispetto all’anno precedente e con un prezzo al consumatore che nel frattempo è aumentato mediamente dell’1,6%.
(Luigi Torriani)
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