È partita ufficialmente la trafila per l’approvazione della nuova Pac (Politica agricola comune). L’esecutivo di Bruxelles ha presentato il pacchetto di inizative e di proposte di riforma dal quale dovrebbe uscire entro il 2013 una Pac completamente rinnovata. Per il momento si annunciano mazzate per l’Italia, che perde il 6% degli aiuti. E che dovrà fare i conti con nuovi criteri di distribuzione dei finanziamenti che hanno già sollevato innumerevoli perplessità.
Un primo aspetto – prevedibile – della nuova Pac, è il drastico taglio delle risorse comunitarie destinate all’agricoltura. Per l’agricoltura italiana si parla di un taglio sui contributi di meno 285 milioni di euro (-6,7%). Un taglio che è legato non solo alla crisi ma anche all’estensione degli aiuti dai vecchi 15 Stati membri agli odierni 27 partner europei. Molto meglio è andata tuttavia ad altri Paesei, in particolare alla Francia, che subirà tagli limitati all’1,5%. Grave il commento di Coldiretti: “nonostante l’invito di Bill Gates al G20 ad investire sull’agricoltura, gli effetti della crisi si fanno sentire anche sul settore agricolo. E le tensioni penalizzano l’Italia, che con la proposta di riforma perde meno risorse solo rispetto a Malta, Olanda e Belgio ma molte di più rispetto a Francia e Germania e rispetto al resto dell’Unione Europea. In sostanza l’Italia paga da sola quasi un terzo dell’intero ammontare di risorse destinate alla convergenza dei nuovi paesi entrati nell’Unione”. Bisogna ricordare tuttavia che al momento l’agricoltura italiana riceve finanziamenti pari a circa 400 euro per ettaro, mentre la media europea è decisamente più bassa (300 euro/ettaro).
Ma i problemi non si fermano a una questione di taglio del budget. Le polemiche riguardano anche le nuove modalità di distribuzione delle risorse. In particolare la questione dei pagamenti uniformi in base al solo criterio della superficie per ettari. Al momento i finaziamenti alle imprese agricole non sono perfettamente proporzionali alla quantità di ettari coltivati. In Italia, in particolare, l’entità dei finanziamenti tiene conto anche della produttività e delle rese storiche di ogni singolo settore dell’agricoltura e dell’allevamento. Per cui a parità di superficie il finanziamento può essere anche macroscopicamente diverso. Per esempio un ettaro coltivato a tabacco usufruisce di un aiuto che oltrepassa i 2000 euro, mentre un’intera area di pascolo di montagna oltrepassa di poco i 200 euro.
A partire dal 2014 ed entro il 2019 tutti gli Stati membri saranno obbligati a sostituire questo meccanismo con un nuovo sistema di pagamenti uniformi per ettaro. Cioè: tutte le superfici agricole avranno diritto a un uguale pagamento di base, su livello nazionale oppure a livello regionale e per aree omogenee. Entrambe le opzioni sono consentite dai regolamenti comunitari. La soluzione nazionale – fanno notare gli operatori di settore – appare improponibile perché implicherebbe uno sostamento di risorse dalle regioni italiane più competitive, e in particolare dalla Lombardia, verso le aree meno produttive, ad agricoltura più estensiva, con ampie aree montane, o comunque svantaggiate.
La soluzione regionale, meno traumatica, comporterebbe comunque un impatto pesante sui mercati agricoli e zootecinici italiani, in particolare in certi specifici settori fortemente intensivi e con uno spiccato tasso di specializzazione. Per esempio i cosiddetti allevamenti senza terra, come la zootecnia bovina intensiva e specializzata, finirebbero praticamente senza finanziamenti nonostante il loro alto livello di produttività. E andrebbero incontro a drastici tagli anche le coltivazioni di tabacco (che rischiano di passare da 2000 euro a meno di 300 euro per ettaro), le colture di pomodori, gli oliveti e gli agrumeti. Mentre canterebbero vittoria settori agricoli ad alta estensione di superficie ma decisamente inferiori per produttività, come la cerealicoltura del Sud Italia, i pascoli estensivi e le aree montane. Questo il drastico commento del presidente della Coldiretti Sergio Marini: “la proposta di riforma della Politica agricola varata dalla Commissione Europea premia chi ha tanta terra e non ci fa niente. Invece di definire gli agricoltori attivi in base a quello che effettivamente fanno, il testo varato dalla Commissione li definisce solo in base alla quantità di aiuti che ricevono premiando così le rendite e le dimensioni e non certo il lavoro e gli investimenti”.
Un’altra novità che è riuscita a scontentare più o meno tutti è il cosiddetto Greening, che verrà applicato al 30% dei sostegni agli agricoltori. In pratica diventano obbligatorie una serie di pratiche ambientali ed ecologiche, e in particolare: diversificare le coltivazioni per un minimo di tre colture; prevedere pascoli permanenti; dedicare il 7% del terreno a fini ecologici, anche con misure non direttamente produttive, come – per esempio – piantare alberi per contrastare l’erosione dei suoli. Chi non rispetta le misure di sostenibilità ecologica prevista perde il 30% dei finanziamenti e può incorrere in ulteriori sanzioni aggiuntive. Se per Confagricoltura (che definisce l’intero pacchetto della nuova Pac “una proposta che non sostiene la competitività delle imprese”) e per la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) le indicazioni della Commissione europea in materia di greening appaiono “pesanti” e “sproporzionate”, per il Wwf la quota del 30% è troppo bassa. La proposta – spiegano dal Wwf – “dovrebbe collegare non solo il 30% ma un totale del 100% dei pagamenti diretti a misure più verdi per diminuire la pressione dell’agricoltura sull’ambiente”.
Perplessi anche il ministro Saverio Romano, che definisce l’intera nuova Pac “complessivamente insoddisfacente” e il presidente del Conaf (Consiglio dell’Ordine nazionale dei dottori agronomi e dottori forestali) Andrea Sisti, che parla di una “forte preoccupazione per l’eccessiva burocratizzazione del sistema agricolo” e di una Pac che nel complesso ha “più ombre che luci”. Per questi e per molti altri aspetti presenti nel testo di oltre 600 pagine della nuova Pac ci sarà tempo fino al 2013 per il lavoro diplomatico e per le trattative. Ma alla Coldiretti non si fanno illusioni, e parlano di una trattativa che “per l’Italia si prospetta tutta in salita”, aggiungendo: “con questa riforma paghiamo il prezzo di una storica assenza dell’Italia nelle sedi comunitarie nei momenti in cui si prendono le decisioni importanti. In Europa si è abituati a decidere con largo anticipo e non come da noi dove affrontiamo i problemi giorno per giorno dopo che si sono verificati. Con questo atteggiamento miope in Europa l’Italia ha sempre perso nel passato, perde oggi con questa riforma e, se non cambierà comportamento, continuerà a perdere nel futuro”.
In sintesi potrebbe cadere un’altra tegola sull’agricoltura italiana con ulteriori riflessi sulla già traballante situazione occupazionale.
(Luigi Torriani)