Dove trovare i soldi per poter rispondere alle pressanti richieste dell’Unione Europea sui nostri conti pubblici? Una delle proposte – lanciata da Coldiretti al Forum dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio – è di vendere i terreni agricoli di proprietà dello Stato, ricavando oltre 6 miliardi di euro. Incredibile dictu, sembra che la politica italiana abbia recepito il messaggio. E l’idea di Coldiretti è entrata nel maxiemendamento annesso alla legge di stabilità approvata dal Parlamento come ultimo atto del governo Berlusconi.
“No say the cat is in the sac”, come dice in inglese maccheronico Giovanni Trapattoni. Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Ma questa volta, forse, è la volta buona. Dopo la lettera d’intenti all’Unione Europea, il governo Berlusconi ha chiuso il suo mandato con un maxiemendamento alla legge di stabilità. Maxiemendamento nel quale sono sparite alcune promesse contenute nella lettera all’Ue (per esempio le modifiche alle norme sul licenziamento e il piano per il Sud), ma sono state fatte alcune aggiunte inaspettate. Tra cui l’obbligo per gli enti locali di concorrere alla riduzione del debito pubblico anche attraverso la dismissione del patrimonio immobiliare e dei terreni pubblici. Inoltre lo Stato si impegna a varare un piano di vendita del proprio patrimonio immobiliare e dei propri terreni agricoli.
Precisamente, per il caso che qui interessa: entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di stabilità, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, con uno o più decreti da adottare d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, individua i terreni di tipo agricolo, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato o di proprietà degli enti pubblici nazionali, e ne dispone la vendita (che avverrà concretamente a cura dell’Agenzia del Demanio). La vendita – così prevede il maxiemendamento – avverrà con trattativa privata per gli immobili o i terreni di valore inferiore a 400.000 euro e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 400.000 euro. In pratica le Regioni, le Province e i Comuni possono vendere i terreni agricoli di loro proprietà dando mandato irrevocabile a vendere all’Agenzia del Demanio, la quale poi provvederà al versamento agli Enti territoriali in questione dei proventi derivanti dalla vendita (al netto dei costi sostenuti e documentati). Inoltre – per incentivare l’imprenditorialità giovanile – viene introdotto il diritto di prelazione per i giovani imprenditori agricoli.
Questo il commento del presidente della Coldiretti Sergio Marini: “l’accoglimento nel maxiemendamento alla manovra della nostra proposta formulata al Forum di Cernobbio di vendere le terre pubbliche ai giovani coltivatori è una buona notizia per il Paese e per gli agricoltori”. Si tratta “di 338.000 ettari di terreni agricoli per un valore stimato di 6 miliardi di euro, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati del censimento dell’agricoltura”. La cessione di questi terreni “toglie allo Stato il compito improprio di coltivare la terra, rende disponibili risorse per lo sviluppo per le casse pubbliche, e inoltre favorisce la competitività delle imprese e crea nuova occupazione in un settore, quello del cibo e del made in Italy, che rappresenta una leva straordinaria su cui poggiare un pezzo importante del nostro futuro”. La cessione di questi terreni “ha il vantaggio di calmierare il prezzo dei terreni, stimolare la crescita, l’occupazione e la redditività delle imprese agricole che meglio dello Stato sono in grado di valorizzare lavorando la terra e generare nuova occupazione”. In sintesi: i benefici sono sia per le finanze dello Stato sia per la produttività delle aree agricole italiane. Soprattutto in quelle zone (Coldiretti fa l’esempio di alcuni tratturi dell’Abruzzo) dove ci sono ampi terreni a vocazione agricola lasciati incolti.
Quanto al “calmierare il prezzo dei terreni” Coldiretti spiega: “Il costo della terra è il principale ostacolo all’ingresso dei giovani in agricoltura, dato che il valore medio della terra ha superato i 18.400 euro per ettaro nel 2010, con una crescita dello 0,8%. Dietro il valore medio si nasconde una forte variabilità, dai 1.000 euro all’ettaro dei pascoli della provincia di Catanzaro a un ettaro di vigneto nelle zone di produzione più celebri, dalla Toscana al Trentino Alto Adige, che può andare da 500.000 a oltre un milione di euro ad ettaro. Una forte differenza è riscontrabile a livello territoriale: i terreni del Nord mediamente presentano valori medi più che doppi rispetto a quelli del Mezzogiorno e allo stesso modo i terreni di pianura, in media, sono valutati circa tre volte di più di quelli di montagna. In generale, comunque, la terra in Italia costa più che in Germania e in Francia. E la difficoltà di accesso al credito continua a rappresentare un freno all’acquisto degli agricoltori professionali, che sembrano orientarsi sempre più verso l’affitto dei terreni, considerato più flessibile rispetto all’oneroso indebitamento derivante dall’accensione di un mutuo. Le superfici in affitto o gestite a titolo gratuito secondo l’Inea sono in costante aumento nell’ultimo decennio (+56 per cento) e nel 2010 hanno raggiunto il 39% della Superficie agricola utile totale”. É chiaro che la vendita dell’enorme patrimonio agricolo dello Stato avrebbe, tra le altre cose, anche l’effetto benefico di calmierare il prezzo dei terreni.
(Luigi Torriani)
Di seguito il testo integrale del provvedimento sulla vendita dei terreni agricoli pubblici contenuto nel maxiemendamento.
IL TESTO INTEGRALE DEL PROVVEDIMENTO
Art. 4-quater
(Disposizioni in materia di dismissioni di terreni agricoli)
1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, con uno o più decreti di natura non regolamentare da adottare d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, individua i terreni a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato non ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del d.lgs n. 28 maggio 2010, n,. 85 nonché di proprietà degli enti pubblici nazionali, da alienare a cura dell’Agenzia del Demanio mediante trattativa privata per gli immobili di valore inferiore a 400 mila euro e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 400 mila euro. L’individuazione del bene ne determina il trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato. Ai citati decreti di individuazione si applicano le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 3, 4 e 5, del decreto-legge n. 351 del 2001.
2. Nelle procedure di alienazione dei terreni di cui al comma 1, al fine di favorire lo sviluppo dell’imprenditorialità agricola giovanile è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli, così come definiti ai sensi del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, e successive modificazioni. Nell’eventualità di incremento di valore dei terreni alienati derivante da cambi di destinazione urbanistica intervenuti nel corso del quinquennio successivo all’alienazione medesima, è riconosciuta allo Stato una quota pari al 75% del maggior valore acquisito dal terreno rispetto al prezzo di vendita; le disposizioni di attuazione del presente periodo sono stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, d’intesa con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
3. Per i terreni ricadenti all’interno di aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991 n. 394, l’Agenzia del Demanio acquisisce preventivamente l’assenso alla vendita da parte degli enti gestori delle medesime aree.
4. Le Regioni, le Province, i Comuni possono vendere, per le finalità e con le modalità di cui ai commi 1 e 2, i beni di loro proprietà aventi destinazione agricola compresi quelli attribuiti ai sensi del d.lgs 28 maggio 2010, n. 85; a tal fine possono conferire all’Agenzia del Demanio mandato irrevocabile a vendere. L’Agenzia provvede al versamento agli Enti territoriali già proprietari dei proventi derivanti dalla vendita al netto dei costi sostenuti e documentati.
5. Le risorse nette derivanti dalle operazioni di dismissione di cui ai commi precedenti sono destinate alla riduzione del debito pubblico.