L’undicesima edizione del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio (Villa d’Este, 21-22 ottobre 2011) sarà ricordata per la presentazione dei risultati della prima indagine organica su “Gli italiani e l’alimentazione nel tempo della crisi”. Un’inchiesta realizzata da Coldiretti e Swg che spiega come e in che misura la crisi ha cambiato l’atteggiamento degli italiani nei confronti dell’acquisto di cibi e bevande. Con molte conferme, ma anche qualche sorpresa.
Il primo dato importante è la relativa tenuta del comparto alimentare di fronte alla crisi economica. Ovvero: i generi alimentari sono la categoria per la quale gli italiani hanno ridotto meno le loro spese. Soltanto il 16% degli intervistati dichiara infatti di aver ridotto le spese per l’acquisto di cibi e bevande (dato che è secondo soltanto alla voce “spese per i figli”, che è stata ridotta soltanto dall’11% degli italiani, ma che è una macrocategoria espressa in termini generici). Il dato acquista rilievo se paragonato ad altri ambiti. Per esempio: il 51% degli italiani dichiara di aver ridotto la spesa per l’abbigliamento, il 50% per viaggi e vacanze, il 47% per il tempo libero, il 34% per i beni tecnologici, il 33% per le attività culturali, il 33% per l’arredamento, il 30% per auto e moto.
Inoltre il 55% degli italiani dichiara di aver aumentato il tempo dedicato a fare la spesa (di generi alimentari), e il 72% dichiara di prestarvi una maggiore attenzione rispetto al passato. La tavola resta quindi per gli italiani un fattore rilevante delle spese familiari, con un valore per famiglia di 467 euro (dato 2010), cifra che equivale al 19% di tutte le spese di una famiglia.
Tuttavia anche alla voce acquisti alimentari è da segnalare un aumento della tendenza al risparmio, sia pure meno pronunciato rispetto ad altri settori (il 16% degli italiani, come si è visto, dichiara comunque di aver ridotto le spese per l’acquisto di cibi e bevande). Una crescita della propensione al risparmio che si traduce nei fatti in un aumento degli acquisti nell’ambito della Gdo e in una crescente sofferenza dei negozi tradizionali. In particolare i discount accrescono in maniera rilevante la loro clientela, con un +25% di italiani che affermano di aver frequentato maggiormente i discount nel 2011 rispetto agli anni precedenti. E un +59% che afferma di guardare con crescente attenzione alle offerte del tipo 3 X 2. Tengono anche i classici supermercati, mentre – parallelamente – il 38% degli intervistati afferma di aver ridotto i propri acquisti nei negozi di alimentari tradizionali, considerati troppo cari.
Un dato – quest’ultimo – che pone tutta una serie di problemi, così sintetizzati dal presidente della Coldiretti Sergio Marini, che difende a spada tratta i negozi tradizionali: “si evidenzia la tendenza da parte di un crescente segmento della popolazione ad acquistare prodotti alimentari a basso prezzo nei discount, a cui però può corrispondere anche una bassa qualità, con il rischio che il risparmio sia solo apparente. Risparmiare oltre un certo limite sul cibo può significare nutrirsi di alimenti che possono avere contenuto scadente, con effetti negativi sul piano nutrizionale, sulla salute e sul benessere delle persone. Non è un caso che la prima mozzarella blu sia stata trovata proprio all’interno di un discount, ma si registrano anche casi di aglio blu, prodotti scaduti o contraffatti. Un fenomeno di riduzione significativa dei negozi tradizionali determina anche evidenti effetti negativi legati alla riduzione dei servizi di prossimità, ma anche un indebolimento del sistema relazionale, dell’intelaiatura sociale e spesso anche della stessa sicurezza sociale dei centri urbani”.
Un altro dato significativo è la riduzione degli sprechi. Precisamente il 57% degli italiani dichiara di aver ridotto gli sprechi a tavola per far fronte alla crisi. Tra costoro il 47% afferma di aver ridotto gli sprechi facendo la spesa in modo più oculato, il 31% riducendo le dosi acquistate, il 24% riutilizzando gli avanzi, il 18% prestando maggiore attenzione alla data di scadenza dei cibi. Tra tante brutte notizie, c’è dunque anche un risvolto positivo, un aspetto pedagogico della crisi.
Ci sono poi alcuni dati a sorpresa. Anzitutto la travolgente crescita del biologico, con un +11,6% nel 2010 e un ulteriore +11% nel primo quadrimestre 2010 (e con il 14% degli italiani che dichiara di acquistare regolarmente cibi biologici). Essendo i prodotti biologici tendenzialmente non a basso prezzo, il dato positivo (decisamente in controdentenza rispetto al resto dell’agroalimentare) può a prima vista sembrare contradditorio. Così come la tenuta dei prodotti a denominazione di origine controllata e protetta, acquistati regolarmente dal 29% dei cittadini, cioè quasi da un italiano su tre, per un fatturato al consumo che nel 2010 è stato superiore ai 9 miliardi di euro (di cui 1,5 di export) per un totale di 229 prodotti. E così come la crescita degli acquisti di alimenti e vini di qualità direttamente dal produttore (lo fa regolarmente il 15% della popolazione, presso cantine, cascine, malghe, mercati degli agricoltori, e simili, per un valore complessivo che ha raggiunto i 3 miliardi di euro, su un totale di 60.000 imprese agricole).
In realtà la contraddizione è solo apparente. Inrociando opportunamente i diversi dati – spiega il presidente della Coldiretti Sergio Marini – si scopre quella che è “in realtà una polarizzazione dei comportamenti“. Ovvero: chi non gode di una buona disponibilità di reddito tende ad abbassare senz’altro la qualità (e quindi il costo) degli alimenti acquistati. Tra chi invece continua a godere di un buon potere d’acquisto è in crescita l’attenzione alla qualità e alla tipicità degli alimenti.
Un ultimo dato riguarda gli organismi geneticamente modificati. Nonostante la crisi, gli alimenti contenenti Ogm (tendenzialmente meno costosi), restano tuttavia sgraditi agli occhi degli italiani (che nel 43% dei casi dichiarano di controllare abitualmente le etichette per accertarsi della qualità e della provenienza dei prodotti prima dell’acquisto). Il 60% degli italiani considera gli Ogm meno salutari e tende ad evitarli. Il 16% afferma di non essere informato o non risponde. Soltanto il 24% non li considera dannosi, o comunque non esita ad acquistarli.
(Luigi Torriani)