Al di là delle polemiche su come è stata gestita la recente ondata immigratoria dal Nord Africa, un dato è certo: nel settore agroalimentare i lavoratori stranieri sono ormai una fetta indispensabile e insostituibile del sistema produttivo nazionale. L’agricoltura italiana non può fare a meno degli immigrati. Come confermano i numeri appena diramati dall’Istat sulla presenza degli immigrati nei campi.
Secondo i dati Istat nelle campagne italiane quasi un lavoratore su dieci è immigrato. Con una crescita che prosegue senza sosta da oltre un decennio. Negli ultimi quindici anni gli immigrati impiegati in agricoltura preciamente sono quadruplicati, passando da 52.000 a oltre 197.000 unità.
Il 53,8% di costoro è impiegato nella raccolta della frutta e della vendemmia; il 29,9% nella preparazione e nella raccolta di pomodori, ortaggi e tabacco; il 10,6% nell’allevamento; il 3,2% nel florovivaismo; il restante 3,2% in altre attività come agriturismi o vendite dirette dei prodotti. Inoltre il numero di aziende agricole a titolarità extracomunitaria si assesta oggi sulle 7.000 unità, pari all’1,5% del totale.
Di quali etnie e nazionalità parliamo? In testa è l’Albania con 15.792 lavoratori impiegati nell’agroalimentare italiano. Seguono il Marocco con 15.591, e soprattutto l’India (15.374), Paese che ha i tassi di crescita più elevati nell’ambito del fenomento immigratorio italiano in campo agricolo. Fondamentale è anche l’apporto dei ghanesi per la raccolta delle mele in Trentino, dei polacchi per la raccolta delle uve del Prosecco in Veneto e per la mungitura del latte nelle stalle del Grana Padano, dei macedoni nella produzione del Barolo, dei romeni per la Bonarda dell’Oltrepò pavese, dei maghrebini – in particolare i tunisini – per il Brunello di Montalcino.
Unanimi i commenti positivi delle associazioni di settore. Per Coldiretti in particolare la vendemmia 2011 in Italia “è salva grazie all’impiego di 30.000 lavoratori stranieri che garantiscono la raccolta delle uve destinate ai più pregiati vini di qualità, dal Brunello di Montalcino al Barbareso fino al Prosecco, nel cui distretto lavorano addirittura immigrati di ben 53 differenti nazionalità da 4 diversi continenti”.
Per Rocco Tiso, presidente nazionale della Confeuro, “i dati diramatai dall’Istsa dimostrano quanto gli immigrati siano parte integrante e ormai fondante del sistema produttivo nazionale, in particolare all’interno della filiera agroalimentare”. Specialmente “nel settore agricolo”, afferma poi Tiso, “è oggi indispensabile valorizzare tutte quelle categorie sociali capaci di mantenere in vita il settore stesso e rilanciarlo nell’epoca della globalizzazione. Il ruolo degli immigrati è cruciale nella coltivazione dei campi, e ciò nonostante sono spesso trattati in modo disumano e degradante. La presenza di molti lavoratori stranieri supplisce a una cultura nazionale che vede il lavoro agricolo come un lavoro di serie B, quindi evitato da molti. È pertanto necessario che il loro utilizzo non si trasformi in sfruttamento e avvenga nel pieno rispetto della dignità umana”.
Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori gli immigrati sono una risorsa essenziale e anzi “ancora non pienamente valorizzata”. Soprattutto a causa di un sistema legislativo che rende molto complicato il processo di inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro italiano. Un sistema che passa attraverso procedimenti amministrativi troppo lunghi (dai 4 agli 8 mesi), lungaggini che spesso spingono le aziende a recedere dall’interesse per il lavoratore, specie se si tratta di aziende che necessitaano di assunzioni per ben determinati e circoscritti periodi stagionali. Un sistema nel quale il divario tra domande presentate e domande evase è tuttora enorme. Nel solo 2010, per esempio, le domande di nulla osta presentate allo Sportello unico per l’immigrazione sono state 103.473. I nulla osta di fatto rilasciati si sono fermati a 32.355.
(Luigi Torriani)