Da sempre il pesce mediterraneo è considerato di qualità e di gusto superiori rispetto ai pesci degli oceani. Probabilmente nel mar Mediterraneo si sviluppa una superiore sapidità dei pesci per la maggiore ricchezza di sali minerali rispetto all’Oceano e perché la maggiore temperatura delle acque favorisce l’esistenza di specie vegetali marine inesistenti nell’Oceano e di cui poi si nutrono pesci, molluschi e crostacei a giovamento del loro sapore sulle nostre tavole.
Non a caso in Giappone i migliori ristoranti di pesce non utilizzano i tonni oceanici ma il tonno rosso siciliano, che importano a peso d’oro. Tuttavia la crisi del comparto ittico in Italia sta assumendo da tempo delle proporzioni allarmanti. Nel primo trimestre 2011 le importazioni dall’estero di pesce e di preparati di pesce sono aumentate del 13%. Vari sono i motivi della crisi e diversi sono gli interventi legislativi non più procrastinabili. Nel frattempo si cerca di rilanciare l’immagine interna del nostro pesce con il nuovo brand “Solo pesce italiano”.
Per capire l’entità della crisi della pesca italiana è utile considerare il trend di due tra i massimi mercati ittici italiani, quello veneto e quello siciliano. Dalle analisi di Veneto Agricoltura sulla pesca marittima e lagunare dell’intero anno 2010 le catture risultano in calo del 12% e la bilancia commerciale in negativo per 198,7 milioni di euro. Il transito di prodotto nei sei mercati ittici regionali si è fermato a 31.801 tonnellate, con una media del -6,7% rispetto all’anno 2009. Si salva soltanto il mercato del pesce di Chioggia con un +8,4%, mentre pessime risultano le condizioni dei mercati di Caorle (-41,7%) e di Pila Porto Tolle (-33,6%). Tragico è addirittura il primo trimestre 2011, con un crollo della produzione ittica dell’intero mare Adriatico pari al 50%.
Ma è sempre più nera anche la crisi del comparto ittico siciliano. Dal Rapporto annuale sulla pesca e l’acquacoltura in Sicilia 2010, redatto dal Comitato scientifico dell’Osservatorio mediterraneo della pesca e recentemente presentato dal presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, emerge un quadro tutt’altro che confortante per un mercato tradizionalmente fortissimo come quello ittico siciliano. La riduzione del pescato siciliano rispetto al 2009 è del 30%. E negli ultimi dieci anni si sono ritirati dall’attività oltre il 70% dei circa 1500 pescherecci di Sicilia. Si parla inoltre, nell’ultimo triennio, di quasi 4.500 posti di lavoro andati persi nella filiera.
Una delle ragioni della crisi è il sovrasruttamento delle risorse ittiche. Un problema che riguarda peraltro non solo l’Italia ma l’intero Mediterraneo, dove secondo il dossier Fish Dependence Day 2011 della New Economics Foundations il 54% degli stock mediterranei sono sovrasfruttati. Si parla appunto di Fish Dependence Day per indicare che è arrivato il momento (per tutti i Paesi europei e non solo per il nostro) in cui un Paese, anche volendo, non sarebbe più in grado di avere una totale autosufficienza alimentare per i consumi di pesce. Il momento in cui diventa inevitabile ricorrere almeno in parte a pesce importato. In particolare è sempre più grave la situazione dell’Adriatico, mare che sembra quasi in via di “sterilizzazione” e che presenta diverse specie ai minimi degli ultimi decenni.
Importare una parte del pescato – cosa che peraltro avviene già da molti anni – non significa tuttavia che si debba smettere di consumare il pesce italiano, il quale peraltro è già di fatto da tempo mediamente più costoso di quello di importazione nonchè generalmente di superiore qualità alimentare. Il sovraffustamento ittico, oltretutto, è una scelta umana reversibile e che anzi è già in procinto di essere contrastata con un fermo pesca temporaneo per i sistemi di strascico e volante (sistemi particolarmente dannosi per l’ecosistema del mare) che è stato fortemente voluto da tutte le associazioni di settore e che scatterà per l’Adriatico nel mese di agosto. Naturalmente l’operazione si accompagna a compensazioni finanziarie a favore delle imprese e degli equipaggi.
Inoltre non tutte le specie risultano sovrasfruttate. Se si osserva un preoccupoante declino da sovrasfruttamento per specie come il tonno rosso e il pesce spada, ci sono specie pescate in Italia come l’aguglia, lo zerro, la palamita, il sugarello, lo sgombro e il pagello che sono sottoutilizzate e che vengono raccomandate da Slowfish in alternativa ai tradizionali pesci che finiscono sulle nostre tavole. Per non parlare di vongole e cozze, che vengono allevate in Italia con metodi tra i più sostenibili, nel senso che l’uomo non fornisce mangimi di alcun tipo e gli animali crescono grazie alle sostanze nutritive ricavate dalla filtrazione dell’acqua.
E in ogni caso c’è dell’altro, oltre al problema del sovrasfruttamento. In particolare il problema del caro gasolio sta assumendo da tempo delle proporzioni intollerabili per il settore ittico italiano. I prezzi del carburante per i pescherecci dell’Adriatico sono cresciuti del 40% nel primo trimestre 2011. E gli effetti della crescita del prezzo del gasolio da autotrazione si fanno sentire anche in Sicilia, dove si calcola che per pescare un kilogrammo di pesce si consuma il triplo del gasolio rispetto agli altri Paesi europei, con costi energetici che nel complesso incidono per oltre il 50% rispetto alla media europea.
Per salvare la pesca italiana sono sorte di recente diverse iniziative. Per esempio Federpesca, Api (Associazione piscicoltori italiani) e Milano Ristorazione hanno siglato di recente un protocollo d’intesa che prevede la presenza di solo pesce italiano nelle mense scolastiche milanesi. Spicca poi l’iniziativa di Agci Agrital (Associazione generale cooperative italiane – settore agro ittico alimentare) di creare un marchio specifico per il pesce italiano. Un brand che renda immediatamente evidente ai consumatori la provenienza italiana del pesce. I codici Fao attualmente previsti dalla legge nelle etichettature non brillano infatti per leggibilità: 21 significa Atlantico Nord Occidentale, 27 Atlantico Nord Orientale, 51 e 57 Oceano Indiano, 37 genericamente Mar Mediterraneo. Grazie all’iniziativa delle cooperative italiane nelle pescherie che aderiscono all’agenzia ittica legata ad Agci Agrital l’acquirente potrà riconoscere facilmente il pesce nostrano grazie al marchio Solo pesce italiano.
(Luigi Torriani)