Le polemiche sui cibi biologici sono vecchie quanto i cibi biologici. C’è li considera un edenico ritorno alla genuinità e alla Natura, e chi li ritiene l’ennesima – fallace – riedizione del mito del Buon Selvaggio di russoviana memoria. Le recenti esternazioni di Silvio Garattini su un presunto coinvolgimento del biologico nell’emergenza Escherichia Coli hanno riaperto il caso. Nel frattempo il pubblico dei consumatori – che nell’Ordine di Mercato è sovrano – ha già messo la sua sentenza: il biologico piace. Sempre di più.
E’ considerato biologico un prodotto agricolo che è ottenuto senza l’utilizzo di sostanze chimiche sintetizzate dall’uomo in tutte le fasi del ciclo produttivo, senza l’impiego di organismi geneticamente modificati (Ogm) e senza l’utilizzo di preparati “tossici” per combattere i parassiti. I prodotti così ottenuti e messi in commercio devono essere obbligatoriamente certificati dal marchio biologico UE, eventualmente accompagnato da marchi nazionali o privati. Può avvalersi del marchio biologico il prodotto che contiene almeno il 95% di ingredienti biologici.
Il marchio biologico, oggi, è vincente. E la crescita del settore negli ultimi anni dirompente. Nel 2000 l’agricoltura biologica rappresentava soltanto il 3% circa dell’intera superficie agricola utilizzata dell’Unione Europea. Oggi è uno dei settori più floridi dell’agricoltura europea, con una crescita annua stimata del 25% tra il 1993 e il 1998, e del 30% a partire dal 1998. Dall’entrata in vigore della prima normativa comunitaria sull’agricoltura biologica (1992) in Italia oltre diecimila aziende si sono convertite a questo sistema, che ha un’immagine in continua ascesa presso i consumatori perché appare emotivmente ed esteticamente appetibile in quanto “vicino alla natura” e perché è indicato da numerose ricerche come maggiormente salutare rispetto ai prodotti tradizionali.
Secondo un recente studio dell’Institut National de la Recherche Agronomique (Inra) latte, frutta e verdura ottenuti da coltivazioni biologiche presenterebbero effettivamente una qualità nutrizionale superiore a quella dei cibi convenzionali, essendo più nutrienti e più ricchi di antiossidanti (in grado di contrastare l’effetto dei radicali liberi) e di acidi grassi polinsaturi (benefici per il cuore). Inoltre presentano il vantaggio dell’assenza o di una presenza molto minore di metalli pesanti, micotossine e residui di pesticidi.
Tuttavia, secondo i detrattori, non è tutto oro quel che luccica. Innanzitutto il mancato utilizzo di antiparassitari naturali può determinare nella pianta lo sviluppo di antiparassitari “naturali” che risultano poi dannosi per la salute umana. Il prof. Franco Battaglia cita per esempio il caso della “patata biologica americana”, che fu prodotta anni fa da alcune cooperative degli Stati Uniti ma risultò tossica per eccesso di solanina naturalmente prodotta dalla patata in funzione antiparassitaria. Un altro caso è quello del sedano biologico che causava eruzioni cutanee in chi lo toccava per eccesso di psolareni 10, sostanze mutagene e cancerogene. Inoltre l’impossibilità di usare diserbanti rende necessario, nell’agricoltura biologica, un maggior numero di lavorazioni meccaniche, il che pone dei problemi in un momento come quello attuale, caratterizzato dalla crescente limitatezza delle risorse enegetiche e dalla necessità di limitare le emissioni di gas serra. Infine in un contesto fortemente antropizzato nel quale la superficie agricola tende sempre di più a ridursi non è irrilevante che l’agricoltura biologica necessiti di maggiori superfici per ottenere la stessa quantità di prodotto rispetto all’agricoltura convenzionale.
I detrattori del biologico sono tornati di recente alla ribalta con l’intervento dello scienziato Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Garattini ha avanzato il sospetto di un legame tra il batterio killer tedesco e la produzione biologica, e ha aggiunto: “questi prodotti biologici, che si giovano solo di sostanze naturali, si arrogano meriti spesso indebiti”, e “i produttori” sbagliano “mettendoli in contrapposizione con i prodotti industriali che invece sarebbero il frutto della chimica”. Parole che hanno suscitato la dura reazione di Andrea Ferrante, presidente nazionale dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (Aiab), il quale ha così risposto: “siamo stufi di questo gioco al massacro con dichiarazioni fondate sul nulla, la sicurezza alimentare è in cima alla nostra attenzione e non possiamo accettare che affermazioni fondate sull’ignoranza continuino a provocare ingiustificati allarmi e criminalizzazione di un intero settore”.
Mentre prosegue in alto loco questa sorta di ennesima riedizione dell’eterno dibattito naturale/artificiale, il pubblico sovrano ha già fatto la sua scelta. A favore del biologico. Secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) il primo bimestre 2011 segna un aumento record del 13% nell’acquisto di prodotti biologici confezionati in Italia. Impressionanti sono in particolare alcuni numeri: + 97% per la pasta biologica, + 120% per le mozzarelle, + 77% per il latte a lunga conservazione, + 32% per il latte fresco, + 12% per i prodotti ortofrutticoli biologici. Secondo i dati della Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) il 65% degli italiani ritiene che il biologico sia più sicuro rispetto ai prodotti convenzionali e tradizionali. Nel frattempo l’Italia registra la leadership europea per numero di operatori impegnati nella filiera dell’agricoltura biologica (45.509 operatori biologici) ed è leader anche per ettari di superficie coltivati con il metodo biologico (1.106.684 ettari). Comunque la si pensi, un dato è ormai certo: il biologico in Italia non è più – da tempo – un’opzione di nicchia.
(Luigi Torriani)